Workers pronti a tutto: Mario e Giacomo conversano uno accanto all'altro

“Workers – Pronti a tutto”, 2012, diretto da Lorenzo Vignolo

Ho guardato “Workers – pronti a tutto” perché mi era stato presentato come “un film carino che parla del problema della disoccupazione in Italia”.

Mmm. Carinissimo, proprio.

Il film si articola in tre episodi, e i protagonisti sono appunto disoccupati che si trovano a dover accettare di fare lavori degradanti perché non hanno alternative.

Vale la pena di vedere il film solo per il terzo episodio, che è spassosissimo e ben recitato. Gli altri due invece fanno schifo. Ma schifo forte!

Il primo episodio ha come protagonista un ragazzo che trova lavoro come “badante” di un disabile di mezza età, il quale, tra le altre cose, nel corso dell’episodio si droga, si ubriaca, gioca a poker e va a prostitute.

Il secondo parla di un uomo che di lavoro raccoglie lo sperma dei tori per inseminare le vacche, che si innamora di una ragazza fighetta con l’ossessione per i medici e a cui fa credere di essere un medico.

Il terzo è la vicenda di una ragazza che, non trovando lavoro come truccatrice teatrale, si ritrova a truccare i morti per un’agenzia di pompe funebri.

Vi lascio scoprire da soli l’episodio dei tori (mi raccomando, tenete a portata di mano un sacchetto per vomitare) e quello delle pompe funebri.

Vi parlo del primo episodio: “il badante”.

Sì, il badante, perché giustamente in Italia non è ancora conosciuta la figura dell’assistente personale e il disabile viene “badato”.

L’episodio è una rivoltante collezione di cliché.

“Così almeno faccio qualcosa di buono”, dice Giacomo, il protagonista, quando accetta a malincuore di lavorare come badante di un certo Mario Spada, disabile in carrozzina.E grazie tante della tua elemosina, Giacomì! Guarda che si tratta di un lavoro, non di un volontariato.

Gli vengono poi date istruzioni imprecise e sommarie dai colleghi che fanno gli altri turni (mi raccomando, non fate parlare il disabile in prima persona delle sue necessità, ché se no il pubblico si scandalizza!) e Giacomo inizia a lavorare così, immediatamente, senza nessun colloquio o training, perché si sa, mica uno vuole scegliersi da solo chi lo aiuterà a spostarsi e ad andare in bagno!

Il tono generale del film è terribilmente paternalistico nei confronti dell’uomo in carrozzina.Questo, dal canto suo, è davvero uno stronzo: urla, dice parolacce, insulta Giacomo, lo manda a comprare la droga; addirittura mentre i due sono in bagno, Giacomo viene schizzato di pipì, e Mario scoppia nella tipica risata folle dei cattivi insoddisfatti.

In un’altra scena l’uomo chiede a Giacomo di girargli le pagine del giornale mentre legge, e qui assistiamo alla fiera della stupidità, nel tentativo mal riuscito di far ridere il pubblico con una sequenza idiota.

Quando vuole cambiare pagina Mario esclama: “Pagina!”. Il ragazzo ogni volta si alza, gira la pagina e si risiede in un divano un po’ distante. Alla quinta pagina inizia a stancarsi e a sbuffare, ignorando totalmente quella che sarebbe la soluzione più ovvia, e cioè sedersi un po’ più vicino e allungare la manina alla bisogna.

Mi chiedo: ma quel ragazzo ha mai lavorato? Sa cosa vuol dire “sgobbare”? C’è al mondo un lavoro più semplice di girare delle pagine per uno che non può? Perché si promuove quest’immagine del disabile che sembra non avere neanche il diritto di cambiare pagina di ciò che sta leggendo?

Altre due chicche del film sono la mancanza di professionalità degli altri “badanti” (una donna richiama Giacomo dicendo “retromarcia principino, Lui ti vuole!”) e il fatto che a un certo punto l’uomo in carrozzina pronunci tutto gongolante riferito ai “badanti” una cosa come “tanto paga l’ASL”.

Ora, io non so dove viva quell’uomo: so solo che voglio andarci a vivere anch’io e avere finalmente l’assistenza continuativa passata dallo Stato, come è giusto che sia. Però non mi risulta che esista un posto del genere in Italia.

Naturalmente, come ogni disabile che si rispetti, l’uomo non esce di casa per buona parte del film, a causa di una mega rampa di scale.

Attenzione! Nell’unico momento in cui esce, va a prostitute. Ho perso il conto di quante volte nel cinema si parli di disabili e prostitute/gigolò. Non è vero, come dicono alcuni, che il tema del sesso nel contesto della disabilità non è mai trattato o è un “tema tabù”, è soltanto trattato come se la sua unica possibile espressione sia con le prostitute, ed è una tendenza molto preoccupante.

Insomma, alla fine l’uomo in carrozzina lo dichiara proprio: si annoia. E anche questo che i disabili si annoiano perché non hanno niente da fare è un cliché di quelli peggiori.

“Faccio quello che mi pare!”, dichiara Mario a proposito delle sue abitudini stravaganti, e allora Giacomo, che ne ha abbastanza, lo prende a forza, lo carica in macchina, lo porta in un parcheggio deserto e lo lascia lì.

Esatto, lo lascia lì!

Poi gli prendono i sensi di colpa e torna, trovando ovviamente l’uomo dove l’ha lasciato, fradicio di pioggia.

E questo, fedele al principio che un disabile deve in fondo sempre essere buono e caro, non si arrabbia, non fa atto di voler denunciare Giacomo per averlo messo in una condizione simile a quella di uno legato a una sedia, dato che non si può muovere.

No, anzi, se ne esce con la frase più patetica che possa tirar fuori: “Pensi che ho voluto una vita così?”Così come, mi chiedo? Minata dall’alcol e dalle droghe? Con un carattere di merda? No, perché la disabilità mi pare proprio l’ultimo dei tuoi problemi!

La pateticità si intensifica quando l’uomo entra nel tema più abusato e più pericoloso, quello della dignità della vita dei disabili: “Fai un favore a tutti e due, ammazzami”.

Ma un favore a chi?

Il film è del 2012, e si continua a perpetuare l’idea che la vita di una persona in carrozzina sia brutta e indegna. Insomma, un bel messaggio di nazista memoria.

Infine, per non farsi mancare proprio nulla, l’uomo se la fa addosso. Chiaro, perché non dovresti farti la pipì addosso? Sei disabile, è quasi un must!

Ed ecco completato il quadretto del disabile scorbutico, che non esce di casa se non per andare a prostitute perché non ha nient’altro da fare, scontento, tragico, desideroso di passare a miglior vita, e ora con la scena della pipì addosso anche infantilizzato.

Ma poi vissero per sempre felici e contenti, con la scenetta finale di Giacomo e Mario che sono diventati amici e giocano allegramente a poker.

Anche se, in realtà, è altamente improbabile diventare amico di uno che ti ha rapito e poi ti ha lasciato sotto la pioggia senza che tu possa ripararti, spostarti o chiedere aiuto.

Che dite…? Ah, già, i disabili non hanno amici, quindi non andiamo tanto per il sottile.

[Elena]

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