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Vulnerabilità e abusi

Ho letto un articolo che mi ha devastato. Su una ragazza minorenne con tetraparesi spastica che è stata ripetutamente stuprata dal suo fisioterapista. La ragazza amava fare equitazione, ma aveva dovuto smettere a causa della sua rigidità posturale. L’uomo le ha proposto degli speciali esercizi che le avrebbero permesso di tornare ad andare a cavallo in breve tempo: una presunta “tecnica di respirazione” che in realtà consisteva in rapporti sessuali.

La ragazza ha detto in seguito che non si rendeva bene conto di quello che stava succedendo e di aver capito soltanto dopo che si trattava di un abuso.

Nel suo caso, c’era una ingenuità probabilmente maggiore rispetto a quella della maggior parte delle sue coetanee. Non conosco la situazione specifica, ma in generale è più probabile che gli adolescenti disabili ricevano ancora meno educazione sessuale e all’affettività da famiglie e insegnanti, per una improbabile questione di protezione, che in questo caso si è rivelata avere l’effetto contrario.

Si stima che il rischio di subire stupri o tentati stupri sia doppio per le donne disabili, e non c’è da stupirsene. Lo stupro è innanzitutto una questione di potere, e oltre alla vulnerabilità che deriva dall’handicap, le persone disabili si trovano spesso a fare i conti con una vulnerabilità “acquisita”: ai bambini disabili si insegna, spesso inconsapevolmente, ad essere docili e condiscendenti.

Quello di cui non si parla abbastanza è che c’è una cultura, un modo di fare che rende le persone disabili più esposte di fronte alle violenze, che insegna ai bambini disabili ad essere passivi. Quando vengono visitati dai vari specialisti, i loro corpi vengono maneggiati da chiunque senza troppi problemi. I bambini disabili passano per le mani di medici, infermieri, fisioterapisti, tecnici ortopedici, assistenti, educatori. Ovviamente sta alla sensibilità dei vari professionisti trattare in modo umano e non asettico i propri pazienti, e questo purtroppo spesso non accade. Vuoi per l’assenza di una formazione specifica sul rapporto col paziente, vuoi per la frenesia e la scarsità di risorse degli ospedali, vuoi per la semplice mancanza di delicatezza dei singoli.

È frequente per una adolescente disabile rimanere nuda più del necessario perché magari i medici stanno parlando con i genitori e non pensano che per lei ogni secondo in meno in cui resta senza reggiseno è prezioso. È complice il fatto che i genitori di figli disabili tendono ad infantilizzarli più del normale, e pensano che a loro magari “non importa”. Si tratta di genitori che si trovano a fronteggiare innegabili cumuli di stress: alle preoccupazioni sulla salute dei figli si somma spesso il lavoro di cura che ancora oggi ricade in gran parte sulle spalle delle famiglie. Con queste premesse, troppo spesso i desideri dei bambini passano in secondo piano e questi si trovano in situazioni che non sarebbero considerate accettabili o dignitose per i loro coetanei non disabili.

Il bambino impara dunque che il suo corpo non gli appartiene, almeno non in quel mondo troppo spesso impersonale e frenetico che sono gli ospedali, o gli studi medici o di fisioterapia. Il fatto che il tuo corpo venga esaminato, palpato, stretchato, in ogni centimetro – non solo di fronte a medici e infermieri, ma anche di fronte a frotte di specializzandi con gli occhi puntati su ogni tuo movimento, e magari col personale delle pulizie che passa in quel momento a dare lo straccio – viene normalizzato.

Quando si tratta del tuo corpo di bambino disabile, le normali regole di privacy e pudore semplicemente non valgono più. Tutte quelle cose spiacevoli, come spogliarsi davanti ad estranei, sentire gli altri decidere per lui senza chiedergli pareri, sentire parlare di sé in terza persona (“lo mettete seduto?”, “gli togliete i pantaloni?”), il bambino impara a considerarle cose fastidiose ma inevitabili per il suo bene. Cose che purtroppo bisogna sopportare ma che passano presto.

Impara che i grandi ne sanno comunque più di lui e tutto quello che fanno è comunque per il suo bene. Impara che la comodità degli adulti e la loro fretta (i medici non hanno solo lui come paziente e quindi devono sbrigarsi) sono più importanti di come si sente lui.

Non c’è da meravigliarsi che i bambini e i ragazzi disabili siano più esposti alle violenze: sono abituati a compiacere, ad “essere bravi”, a farsi passare sopra situazioni sgradevoli quando riguardano il loro corpo, e inoltre, più di altri bambini, entrano in contatto con miriadi di professionisti con cui spesso vengono anche lasciati soli, come nel caso della ragazza di cui parlavo sopra. Oltretutto i bambini e gli adolescenti disabili hanno sicuramente maggiori elementi per essere manipolati nei contesti di cura: i fantomatici “esercizi” messi in atto dal fisioterapista avrebbero aiutato la ragazza a stare meglio, e giustamente perché lei avrebbe dovuto mettere in discussione ciò che le diceva un professionista?

Aggiungiamo un po’ di disinformazione, perché è statisticamente più probabile che i disabili, soprattutto con disabilità mentali, non ricevano una corretta educazione sessuale, e ci rendiamo conto che la società ha creato delle vittime perfette.

Alla base di tutti questi fattori di rischio, c’è un forte disequilibrio di potere, presupposto indispensabile per qualunque tipo di abuso. Una soluzione sta indubbiamente nel riequilibrare questa situazione: diamo più potere ai bambini, diamogli più strumenti. In una società dove l’educazione sessuale viene data col contagocce anche a bambini e adolescenti non disabili, andiamo controcorrente. Parliamone, in modo appropriato alle varie età, con i bambini; insegniamo loro quali sono le parti del corpo in cui è inappropriato che vengano toccati da estranei. Insegniamo agli adolescenti che cos’è il consenso. Parliamo apertamente e chiediamo il più possibile il loro parere, sulle questioni che li riguardano, per farli sentire ascoltati, inclusi nelle decisioni e non scavalcati.

Quindi ai genitori dico state in guardia. Date ai bambini (per quanto è possibile) capacità decisionale, e infondete loro il senso del rispetto verso il proprio corpo. In gioco c’è qualcosa di più della differenza tra vivere una visita medica in modo più o meno spiacevole.

Abbiate il coraggio di intervenire e fare da tramite tra vostro figlio e il personale che se ne occupa, se vedete che i loro desideri e bisogni sono messi da parte senza un motivo valido. Incoraggiate i medici che già non lo fanno a parlare direttamente con il bambino: un ragazzino di dieci anni è perfettamente in grado di capire moltissime cose sulla propria salute.

Prendetevi il tempo di chiedere il permesso ai vostri figli, anche in un clima di fretta e stress. A volte sarà difficile, ma è davvero un investimento per il futuro, ed è una cosa che vale per tutti i bambini, non certo solo per quelli disabili.

[Maria Chiara]

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