Elena fissa il cellulare con aria concentrata. Ha i capelli castani con un ciuffo lilla, indossa una maglia grigia ed è distesa sulla sua carrozzina elettrica. Sullo sfondo un divano beige e una libreria.

Conferenza – University of Westminster

Ciao! Ultimamente ho avuto abbastanza da fare con l’università e non vi ho deliziato con i miei post, lasciando Witty Wheels quasi totalmente in mano a Chiara. Sto facendo la tesi e sono sommersa dalle carte mentre fuori da queste mura la primavera londinese è iniziata.

sigh

Insomma, ieri sono stata a un convegno dove mi avevano invitato su: 

“la solidarietà all’interno dei gruppi di giustizia sociale: una riflessione sui modi in cui i gruppi marginalizzati (donne, gay, trans, neri, disabili…) possono lavorare insieme nell’attivismo, contrastando le tattiche divisive di certa politica”

Chiara ha gentilmente tradotto il mio intervento dall’inglese (grazie Chiara, sei la mia traduttrice preferita) e mi sta obbligando a postarlo. Aiut…

Ciao a tutti, grazie per avermi invitato qui oggi, in realtà è la prima volta che parlo ad un convegno quindi non siate troppo severi.

Parlerò di giustizia sociale dal mio punto di vista di donna e persona in carrozzina. 

Preciso però che sono anche privilegiata per molti aspetti, dato che sono bianca, di classe media, etero e cis. 

Sono davvero contenta di parlare oggi di questioni legate alla disabilità. Il fatto è che la disabilità è raramente considerata come materia di discussione nei gruppi di giustizia sociale, anche in quelli più progressisti.

Per esempio, io studio relazioni internazionali e vedo che nella letteratura sui diritti civili, per esempio, la disabilità è menzionata raramente. Si può leggere dei diritti delle donne, dei gay, dei neri. Non moltissimo sui diritti dei trans. Ma i diritti dei disabili? Molto poco.

Il problema è che nella nostra società l’approccio prevalente nei confronti della disabilità è il modello medico della disabilità, quel modello secondo cui la disabilità è qualcosa di intrinsecamente indesiderabile, qualcosa che dev’essere curato, “normalizzato” il più possibile. 

Ma che cosa significa poi “normale”? Bah.

Impariamo quindi che la disabilità è una questione esclusivamente medica, individuale, un problema, una tragedia che accade e basta. Una cosa sfortunata e brutta. E i media promuovono questa idea – in realtà nociva – perché, francamente, vende molto di più. Avete visto il film “Io prima di te”? Sì, il film dove il tizio vuole morire perché è diventato disabile. Non si tratta di un caso isolato. Quello del personaggio disabile che vuole morire è un copione molto frequente nei film con personaggi disabili (“Million dollar baby”, “Profumo di donna”, “Whose life is it anyway?”, per dirne qualcuno) e io sono proprio stanca di questa cosa, perché è così irrealistico e la gente ancora ci crede. 

In realtà, la disabilità è una caratteristica, fisica o mentale. 

La verità è che l’impatto che ha una limitazione fisica o mentale sulla tua vita dipende enormemente dal supporto che ti dà lo stato. La disabilità è una questione sociale molto più di quanto sia una questione medica. 

Per esempio, io sono italiana, e in Italia i finanziamenti per le persone non autosufficienti non sono ancora una realtà, e io sono qui oggi perché in qualche modo mi posso permettere di pagare delle assistenti, in modo da poter studiare all’estero, grazie al sostegno economico della mia famiglia. 

Come ho già detto, sono in parte privilegiata. 

Un mio amico disabile siciliano, anche lui non auto sufficiente, non può permettersi di pagare un assistente, quindi è assistito dai suoi genitori, perché non ha scelta.

Contemporaneamente, un ragazzo in Ghana con la mia stessa disabilità proveniente da una famiglia modesta probabilmente non se la sta passando troppo bene.

E contemporaneamente un altro mio amico con la stessa disabilità ha tutti i suoi assistenti stipendiati dallo Stato, perché vive in Norvegia.

Sono solo degli esempi, ma capite come lo Stato faccia una grande differenza.

Storicamente, comunque, la disabilità è stata liquidata come qualcosa che ha a che fare con la malattia, la sfortuna, ed è stata costantemente considerata come qualcosa di “altro” da sé, invece che venire riconosciuta come minoranza degna di diritti civili. 

Posso fare un esempio recente per spiegare questo atteggiamento: la “Women’s march” organizzata negli Stati Uniti alla fine di gennaio dopo l’elezione di Trump. I disabili non sono stati quasi menzionati nel loro manifesto, sebbene abbiano molto da perdere sotto il governo di Trump, soprattutto a causa dei tagli al sistema Medicaid, che, tra le altre cose, finanzia l’assistenza personale. 

Forse vi ricorderete che durante le elezioni Trump ha scimmiottato un giornalista disabile, che, a proposito, ha un nome, si chiama Serge Kowalevski, è un giornalista famoso che ha vinto numerosi premi. Anche se i media lo hanno perlopiù chiamato solo “il giornalista con una disabilità”. 

C’è stata una forte indignazione, uno sdegno dell’opinione pubblica per questo scimmiottamento, perché come osi prendere in giro un povero disabile? Cattivo Trump!

Come se Trump non avesse fatto anche di peggio con altre minoranze. Come se un gesto simile non fosse perfettamente in linea con la sua orribile campagna. No, lo sdegno è stato maggiore questa volta perché i disabili sono visti come creature indifese. 

E poi, quando le vite dei disabili sono davvero messe a rischio, questi ultimi non sono realmente considerati nei gruppi di giustizia sociale. Li si considera solo dei corpi di cui bisogna prendersi cura, privi di autodeterminazione.

Alcuni attivisti americani in carrozzina sono andati alla “Women’s March” e la gente urlava continuamente “fate spazio per la signora”, o “fate passare la carrozzina”, presumendo che non fossero lì per protestare contro il governo Trump, dando più volte per scontato che fossero dei semplici passanti.

Quindi prima di tutto le persone dovrebbero riconoscere che le battaglie delle persone disabili sono battaglie di giustizia sociale, perché il movimento per i diritti dei disabili è vivo e vegeto. 

Ora, sapete che cos’è l’abilismo? 

Io non lo sapevo fino a circa tre anni fa. È l’oppressione o discriminazione nei confronti delle persone disabili. Sulla stessa linea di sessismo, transfobia, omofobia, eccetera. 

Anche se non sapevo che avesse un nome, ho avuto a che fare con l’abilismo un sacco di volte nella mia vita.

L’abilismo esiste a un livello culturale, sociale, istituzionale e quotidiano.

È molto pervasivo ed essenzialmente dice che le vite dei disabili hanno meno valore. L’abilismo è l’assenza di una rampa in un negozio, è una scuola che si rifiuta di mettere in pratica un accomodamento per per uno studente disabile, è un autista di autobus che si rifiuta di farmi salire per via della carrozzina. Sì, succede anche questo.

L’abilismo esiste anche nel mondo accademico. 

C’è un tizio che si chiama Peter Singer. Insegna a Princeton, anche se sto volutamente evitando di chiamarlo professore. 

Singer sostiene che sia accettabile uccidere i bambini disabili perché a quanto pare non possono godere della vita appieno, e rovinano la vita dei loro genitori. 

Inoltre ha detto recentemente che è accettabile stuprare alcune persone disabili sulla base del fatto che non capiscono che cosa sia il consenso.

E in caso ve lo stiate chiedendo, sì, insegna ancora a Princeton. 

Accade continuamente che persone che non hanno un’idea della disabilità parlino a nome dei disabili.

Le vite delle persone disabili NON dovrebbero essere oggetto di discussione, ma, nel 2017, lo sono ancora.

Peraltro, i Disability Studies sono una disciplina che non è ancora molto conosciuta. Tra un po’ ci arriveremo. 

In realtà, penso di sapere perché siamo ancora così indietro sui diritti per i disabili. Le persone disabili sono chiuse negli istituti in gran parte del mondo, e sapete, non è facile andare a protestare in strada da dietro i cancelli di un istituto.

Comunque adesso, dopo essermi rovinata il fegato parlando di Singer, ho davvero bisogno di citare il padre del movimento per i diritti dei disabili, il primo ragazzo non autosufficiente ad andare all’università a Berkeley, negli Stati Uniti, Ed Roberts.

Ebbe la polio a quattordici anni, e dovette fare delle battaglie anche solo per accedere all’università. E quando era ancora sul letto dell’ospedale, sentì un dottore dire a sua madre: “Dovreste sperare che muoia, perché se vive non sarà più che un vegetale per il resto della sua vita.”

E Roberts disse poi, anni dopo: “E allora ho deciso di essere un carciofo… un po’ spinoso all’esterno, ma con un grande cuore. I vegetali di tutto il mondo si stanno unendo, e non ce ne andiamo!”

Ora, forse avete notato nella vostra home di Facebook che questo è il mese della sensibilizzazione sull’autismo. Dirò solo due parole. 

L’organizzazione più famosa che fa sensibilizzazione sull’autismo si chiama “Autism speaks”. Il loro slogan è “Illuminalo di blu” (“Light It Up Blue”) e la gente segue il loro consiglio postando immagini blu.

Il problema è che questa organizzazione è stata fondata da genitori di persone autistiche. Non c’è una sola persona autistica nel loro direttivo. Solo il 4% del denaro che raccolgono è diretto a servizi alle famiglie. L’obiettivo che si prefiggono è trovare una cura per l’autismo, che è qualcosa che una schiacciante maggioranza delle persone autistiche non vuole, perché uno: non è possibile curare l’autismo, due: l’autismo è parte integrante della persona e cancellarlo significa cancellare la persona autistica. 

Quindi, diffidate di organizzazioni per un gruppo di minoranza che non hanno rappresentanti di quel gruppo di minoranza. Diffidate dei professionisti che sostengono di saperne di più dei disabili stessi.

Quindi, per riassumere tutte queste ciance:

I diritti per i disabili sono materia di giustizia sociale.

Facciamo parlare i disabili.

Guardiamo con occhio critico gli atteggiamenti paternalistici nei media.

Possiamo dire che l’abilismo è l’oppressione base di tutte le altre, perché esiste da così tanto tempo e si sovrappone ad altre forme di oppressione. L’abilismo potenzialmente può riguardare tutti, possiamo diventare disabili in qualunque momento, e comunque tutti invecchiamo – se non moriamo giovani, che sarebbe una cosa molto spiacevole. Quindi fareste bene a cominciare a scegliere il vostro vegetale. 

Grazie per l’ascolto!

[Elena]

Versione originale in inglese:

Elena fissa il cellulare con aria concentrata. Ha i capelli castani con un ciuffo lilla, indossa una maglia grigia ed è distesa sulla sua carrozzina elettrica. Sullo sfondo un divano beige e una libreria.
Image description:

Elena staring at her mobile looking concentrated. She has brown hair with a lilac hue. She is wearing a grey sweatshirt and she is lying down on her electric wheelchair. In the background there is a beige sofa and a bookcase.

Intersectionality and Solidarity – exploring how marginalised groups can work together in solidarity against the divisive tactics of the far right

Hi guys! Thank you for inviting me today and this is actually the first time that I speak at a panel so don’t be too harsh please. 

I am going to talk about social justice from my experience as a woman and a wheelchair-user. Anyway note that I have a lot of privileges too since I am white, middle-class, straight and cis. 

I am really happy to talk about disability issues today. The thing is, disability is rarely considered as a matter to discuss also in progressive social justice circles. For example, I study International Relations and I find that in the literature about civil rights for example disability is rarely mentioned. You can read about women rights, gay rights, black rights. Not so much of trans rights. But disability rights?

Uhoh

The problem is that in our society the main approach towards disability is the medical model of disability, that is, the model that says that disability is something inherently undesirable, to be cured, to be normalized as much as possible. Anyway, what does norm even mean then? So we learn that disability is a medical, individual issue, a problem, a tragedy that just happens. Something unlucky and bad. And the media promote this actually hurtful idea because, honestly, it sells much more. Have you watched the movie “Me before you”? Yeah, the movie where the dude wants to die because he has become disabled. This is not an isolated case. A disabled character who wants to die is a very frequent narrative in movies with disabled characters (“Million dollar baby”, “Scent of a woman”, “Whose life is it anyway?” are just a few titles) and I am very sick of it because it’s so unrealistic and people still buy it.

Actually, disability is just a physical or mental characteristic. The truth is that the impact the impairment has on your life depends hugely on the help the state gives you. Disability is much more a social than a medical issue. 

For example, I am from Italy where direct payments for disabled people are still not a reality, and I am here because I can somehow afford to pay for my assistants, so I get to study abroad thanks to my family’s income. As I said, I have quite a few privileges. My disabled friend from Sicily is not self-sufficient as well, but he can’t afford an assistant, so he is cared for by his parents because he has no choice. Meanwhile, a guy in Ghana with the same disability as me from a low-income family is probably having a hard time. Meanwhile a friend of mine with the same disability has all his assistants paid for by the state as he lives in Norway. These are just examples, but you see as the state makes a big difference. 

Historically, anyway, disability has just been dismissed as something that has to do with sickness, bad luck, and it has been constantly otherized, rather than being recognized as a minority worthy of civil rights. 

I could take a recent example for this attitude: the Women’s March that took place in the US at the end of January after Trump’s election. Disabled folks were almost not mentioned in the manifesto, even though they have a lot at stake under Trump administration, mostly because of cuts to Medicaid, which, among other things, pays for personal assistants. 

You might remember that during the election, Trump mocked a disabled reporter, who has a name BTW, his name is serge Kowalevski, he is a well known reporter who won many prizes. Even if the media often called him just “the reporter with a disability”.

There was a outrage, a public outcry at the mockery, because how dare you to mock a poor disabled person, badly done Trump. As if Trump hadn’t done worse with other minorities. As if a gesture like this wasn’t perfectly in line with Trump’s horrible campaign. No, there was a bigger outrage because disabled people are seen as helpless creatures. 

And then, when disabled people lives are really at stake, they are not considered in social justice circles. They are considered just as bodies to take care of, without agency. 

A few American activists in wheelchair that I know went to the Women’s March and constantly people would shout “make space for the lady”, “make space for the wheelchair” assuming that they were not there to protest against Trump’s administration, they repeatedly assumed they were just passers-by. So first of all, people should acknowledge that disabled people’s fights are social justice fights, because the Disability Rights Movement is alive and well. 

Now, do you know what ableism is? I didn’t know until about three years ago. It is the oppression of disabled folks. On the lines of sexism, transphobia, homophobia etc. Even if I didn’t always know it has a name, I have experienced ableism a lot throughout my life. 

Ableism exist at the cultural, social, institutional and everyday level. It is very pervasive and it essentially says that disabled lives have less value. Ableism is a ramp missing in a shop, it is a school refusing to put in place a reasonable adjustment, it is a driver refusing to take me on a bus because of my wheelchair. Yes, it happens.

Ableism exists in academia, also. There is a guy, whose name is Peter Singer. He teaches at Princeton, even though I am deliberately avoiding to call him Professor. He said that it is ok to kill disabled children because supposedly they can’t fully enjoy life and they spoil their parents’ life. Also, he recently said that it is okay to rape disabled people because they supposedly cannot understand what consent is. 

And, in case you are wondering, yes, he’s still teaching at Princeton. 

People who don’t have a clue about disability constantly get to speak on behalf of disabled people. Disabled people lives should NOT be object of debate but they still are in 2017. 

On the other hand, disability studies is a discipline that is not yet very much known. We’ll get there at last. 

Actually, I think I know why we are still so backward about disability rights. Disabled people are shut in institutions in the majority of the world and, you know, it is not easy to go and protest in the streets from behind the fences of an institution. 

Anyway, now after ruining my good mood by thinking about Singer I really need to quote the father of the disability rights movement, the first not self-sufficient guy to get to the university of Berkeley in the United States, Ed Roberts. He got polio when he was 14 and he had to fight just to go to university. And when he was still in the hospital bed he overheard a doctor tell his mother, “You should hope he dies, because if he lives, he’ll be no more than a vegetable for the rest of his life.” Roberts later said, ” So I decided to be an artichoke – a little prickly on the outside but with a big heart on the inside. You know, the vegetables of the world are uniting, and we’re not going away!”

Now, you may have noticed in your Facebook timeline that this is Autism Awareness Month. I will just say a couple of words. The most well known organization that promotes awareness for autism is called Autism speaks. Their slogan is “Ligh1t It Up Blue” and people are following the advice by uploading blue images. 

The problem is that the organization has been founded by parents of autistic people. There is not a single autistic person among their executives. Only the 4% of the money they raise is directed to services to families. Autism speaks’s proposed aim is to find a cure for autism, which is something the overwhelming majority of autistic people do not want because one, it is not possible to cure autism and two, autism is an inherent part of the person and erasing it would mean erasing the autistic person. 

So, beware of organizations for a minority group which have not representatives of that minority group. Beware of professionals who argue they know better than disabled folks themselves. 

So, to sum up all this blabbering. 

Disability rights are social justice issues.

Let disabled people speak.

Let’s question patronizing attitudes in the media.

We could say that ableism is the root oppression of all, because it has existed for such a long time and it intersects other forms of oppression. Ableism could potentially affect everybody because we could become disabled anytime, and anyway we all age – unless we die young, which would be very unfortunate. So you’d better start picking your own vegetable.

Thanks for listening!

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