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“Dovresti ascoltarmi!”

Il fatto di usare una carrozzina elettrica mi fa sperimentare situazioni bizzarre: sono una specie di calamita per balordi e curiosi.

Per esempio, qualche settimana fa ero a Londra per la mia laurea. Un pomeriggio stavo passeggiando con la mia famiglia, col freddo glaciale di fine novembre che mi scorticava deliziosamente l’epidermide. Ad un certo punto ci siamo rifugiati in un Prêt à Manger.

Ci sediamo a un tavolo, e mentre cerchiamo di ristabilire la nostra temperatura corporea a livelli accettabili per la sopravvivenza, e in generale ci facciamo i cavoli nostri, un tizio comincia a fissarmi.

Dopo un po’ si avvicina, si rivolge a mio fratello e, puntandomi il dito contro, se ne esce con la domanda rompi-ghiaccio più elegante di tutti i tempi:

“È nata così?” (Ovviamente in lingua angla, quindi “Was she born that way?”)

Mio fratello lì per lì non capisce, quindi si gira verso di me.

I miei meccanismi difensivi scattano, perché so abbastanza bene che chi si approccia in questo modo è da evitare in toto, quindi ribatto direttamente con: “Non voglio parlare con te”

Il tizio punta di nuovo gli occhi su di me, e mi colpisce il fatto che sono freddi e che non traspare nessuna emozione. Sembra molto sicuro di sé.

“Invece dovresti ascoltarmi, conosco qualcuno che può aiutarti”.

Io ripeto: “Non voglio parlare con te. Puoi andare via?”

Lui non si muove e continua a fissarmi immobile, stupito e offeso.

Dico ancora “Vai via?” e sono sull’orlo del: “Se non te ne vai chiamo la polizia” quando finalmente si schioda e fa per andarsene.

“Come vuoi”, dice in modo vagamente minaccioso, scandendo le parole e girandosi con deliberata lentezza, “ma avresti dovuto ascoltarmi”.

Con questa perla finale da film thriller, esce dal bar.

Capita a volte che delle persone mi fermino per strada. Sconosciuti che, attirati dalla mia ruspante e a quanto pare seducente carrozzina elettrica, mi rivolgono la parola in giro. In genere però la gente mi fa “solo” carezze, o mi chiede se mi può baciare (di solito vecchiette), o mi dice che sono brava a guidare (di solito i maschi di mezza età). Quasi mai la gente insiste nel volermi “aiutare”.

Questa del Prêt à Manger è stata una delle cose più inquietanti di sempre, e mi ha lasciato addosso una bruttissima sensazione. Secondo quell’uomo, io NON POTEVO non volere il suo prezioso aiuto: si percepiva in modo tangibile tutta l’arroganza e il piedistallo da cui mi guardava.

Il fatto di essere a volte fermata o salutata da completi estranei in virtù del fatto che uso una carrozzina ha dei risvolti imbarazzanti.

Perché quando a salutarmi, magari da lontano, sono dei conoscenti o degli amici che magari non vedo da tempo, io per una frazione di secondo penso: e chissu chi è? È un balordo che cerca di abbordarmi, o è qualcuno di cui mi dovrei ricordare?

Come quella volta che ero in giro con Chiara, e un ragazzo alto col cappellino con la visiera mi ha salutato: “Ciao!”.

Ho il sole proprio in faccia, e sono un po’ infastidita perché è un posto pieno di zanzare che bramano la mia pelle. Non ho voglia di perdere tempo con sconosciuti, quindi replico con un aristocratico “Salve” e supero il ragazzo con uno scatto felino, procedendo sulla mia strada.

Sento che, dietro di me, Chiara si ferma e parla.

Dopo un po’ Chiara mi raggiunge. È sola.

Scopro con orrore che il ragazzo era nostro cugino.

SBEM!

A mia discolpa posso dire che non ci vediamo spesso, però quello che mi preme sottolineare è che, non riconoscendolo, ho dato per scontato che fosse uno sconosciuto “curioso”, e per autodifesa ho attivato la modalità fuga.

E ovviamente mia sorella non mi ha perculato per cinque giorni. No, no

[Elena]

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