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Fare l’università da persona in carrozzina e i problemi dell’accademia

Non è facile fare l’università da persona in carrozzina. Io personalmente ho dovuto pagarmi gran parte dello stipendio delle assistenti, non potevo usare il treno inaccessibile e quindi dovevo fare la pendolare in macchina. Il trasporto organizzato dall’università per le lezioni arrivava in ritardo, non potevo andare in mensa perché c’erano gli scalini e per ogni singola materia ero io a dover organizzare le aule accessibili per le lezioni e per gli esami orali, che ho fatto nei posti più improbabili. Come pro, ho acquisito l’abilità di scrivere email efficaci per praticamente ogni tipo di situazione.

Ho avuto a che fare con quattro “Servizi per la disabilità” e quello che ho imparato è che “l’università non ha risorse”, ma se insisti un po’ (molto) alcune risorse vengono fuori, ma in ogni caso dovresti ringraziare per quello che ottieni, perché “altrove è anche peggio”, e “sei davvero sicura che vuoi fare arabo? perché molti poi lasciano e non vorremmo organizzare un’aula accessibile per nulla”.

L’istruzione è ancora classista, abilista e razzista (e tanto altro). La mia esperienza come persona disabile all’università me lo ha fatto capire direttamente sulla mia pelle, sia in Italia che in UK. Non è certo una novità che l’istruzione formale non sia per tutti. Spesso non è accessibile per chi ha poche risorse economiche, e per certe categorie di persone è più difficile accedervi o avere successo. Nella mia prima facoltà gli studenti non italiani non arrivavano a dieci, quelli disabili nemmeno a cinque. Molte persone disabili fanno l’università online (se i corsi ci sono, ovviamente, altrimenti niente) non per scelta ma perché l’assistenza e il trasporto non sono disponibili, perdendo così un’esperienza che tutti dovrebbero essere messi in grado di scegliere se fare o meno.

Anche per questa ragione dobbiamo essere molto cauti quando prendiamo in considerazione i titoli di studio delle persone.

Un altro motivo per cui l’università non è sempre automaticamente il Meglio TM per eccellenza, il traguardo ottimale a cui aspirare, riguarda l’approccio ad alcuni campi sociali. Anche l’accademia può essere influenzata in modo pregiudizievole, ed essendo condotta molto spesso da chi ha più privilegio può ignorare alcune esperienze di oppressione di chi è più marginalizzato.

C’è molto bisogno di ridare valore all’educazione non formale e all’esperienza sul campo. Le persone che mi hanno insegnato di più sulle questioni di giustizia sociale non hanno tutte delle lauree, perché alcune di loro sono plurimarginalizzate e quindi non hanno avuto accesso all’università.

L’educazione non formale ha un suo valore che nella nostra società spocchiosa, snob e disinteressata ai temi di giustizia sociale spesso non viene riconosciuto, un valore che l’accademia angloamericana almeno ha capito un po’ meglio e un po’ prima di quella italiana.

L’accademia non è automaticamente aggiornata sui temi “sociali”. Quando si parla di femminismo, di Queer Studies o Disability Studies la spinta propulsiva, l’innovazione, parte spesso dal basso, e poi la ricerca dà il suo contributo. Di contro, su dei testi accademici ho letto anche parecchie cose assurde e improponibili. Per quanto riguarda la disabilità, in molti corsi universitari italiani vengono insegnate cose imbarazzanti. Espressioni come “diversabilità” e “bisogni speciali” sono diffuse tranquillamente nell’accademia, ma i problemi vanno ben oltre il linguaggio e si estendono a tutto un modo di concepire la disabilità come cosa “Altra” e medicalizzata, senza centrare le voci delle persone disabili.

Tutti questi problemi saranno sempre presenti finché le università continueranno ad essere innanzitutto luoghi di potere che invece di assolvere al loro compito di formazione scelgono di usare le loro enormi risorse per perpetuare dei privilegi sociali.

[Maria Chiara]

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