Sentiamo dire spesso che le categorie oppresse devono educare gli altri. Dovremmo spiegare loro come viviamo, cosa facciamo e come siamo, così poi loro finalmente capiranno e ci riconosceranno come pari. Ci sentiamo chiamati a dissipare i falsi miti, a “sensibilizzare”.
Ma nel farlo rischiamo di esaurire la nostra energia e non riuscire a pensare e ricreare nuove narrazioni, le nostre.
Come persone disabili agiamo spesso in reazione a qualcos’altro.
Se ci viene martellato che siamo un peso per la società, ci teniamo tanto a dire che però, con l’assistenza o i servizi adeguati, possiamo essere produttivi pure noi!
Se qualcuno pensa che se usiamo una carrozzina abbiamo anche disabilità intellettive, ci teniamo a dirgli che assolutamente no, abbiamo solo una disabilità fisica!
Ma non possiamo continuare ad agire “in reazione a”. Dobbiamo costruire noi nuove narrazioni, le nostre.
O le nostre rivendicazioni si indeboliranno e risulteranno insipide.
Non dobbiamo agire al ribasso. Dobbiamo dire che ogni persona disabile ha diritto a servizi e supporti adeguati, al di là dei suoi meriti e del suo valore produttivo. Dobbiamo agire attivamente contro la disumanizzazione delle persone con ogni tipo di disabilità e non cercare la nostra liberazione attraverso l’oppressione di altri.
[Maria Chiara]
“Nessuno al mondo, nessuno nella storia ha mai ottenuto la propria libertà facendo appello al senso morale dei propri oppressori” – Assata Shakur