foto non in posa di Elena distesa su una brandina al mare. Ha i capelli bagnati, gli occhi socchiusi ed è avvolta in un asciugamano colorato. Sta muovendo la mano e dà l'idea di un qualche stregone fantasy mentre fa un incantesimo. Sotto c'è la scritta "Io che faccio un incantesimo per scacciare l'abilismo"

Abilismo interiorizzato e abilismo orizzontale

L’abilismo interiorizzato è un prodotto diretto dell’abilismo che proviene dall’esterno. Se sei disabile e hai disponibili praticamente solo messaggi mediatici e politiche secondo cui la tua è una vita di serie B, è difficile non proiettare su di te parecchie idee tossiche.

Dai e dai, a forza di venire etichettato come sfortunato, fragile e mancante, ci credi; oppure ti senti in dovere di dimostrare qualcosa, essere performante, eccellere, così magari non penseranno più certe cose su di te.

La disabilità diventa un fattore che ci renderebbe intrinsecamente “altro”. Ci si paragona continuamente ad un presunto ideale di normalità, immaginando che una versione di sé non disabile sia “il vero sé”.

L’abilismo interiorizzato è un complesso di inferiorità, e può portare a una sorta di auto-boicottaggio.

È il tentativo di normalizzare il proprio corpo disabile; lo spingersi oltre ai limiti fisici per non creare disagi agli altri, reprimendo i propri bisogni; il disprezzo per il proprio corpo.
È il timore di non essere “abbastanza”; la paura di essere parte attiva nell’iniziare una relazione (di qualsiasi tipo) perché “ma disturbo? Ma non è che dice certe cose solo per gentilezza?”
È il proiettare su di sé lo sguardo esterno e avere paurissima del giudizio altrui.
È il continuare a frequentare persone abiliste che ti trattano con condiscendenza perché in fondo pensi di non poter aspirare a qualcosa di meglio; il non riuscire a riconoscere l’abilismo perché lo hai normalizzato.
È il pensare di non meritarsi un trattamento decente perché “Eh, la disabilità è sconosciuta, la gente ha bisogno di tempo per imparare”.
È il tentativo di “compensare” le proprie presunte mancanze attraverso una performance continua, pensando che i propri bisogni siano troppi e intacchino il proprio valore.
È la gratitudine per cose di base, perché si applica su se stessi un doppio standard e ci si percepisce come meno “degni” rispetto alle persone non disabili.
È il sentirsi un peso.

L’abilismo orizzontale c’è invece quando non si trova di meglio che essere abilisti verso le persone “più disabili”, in un tentativo di liberarsi dallo stigma. È essere a disagio quando si è vicino ad altre persone disabili, per paura che le persone non disabili pensino che ti “auto-ghettizzi”. È il vantarsi di una presunta normalità rispetto a loro, quelli là, “quelli che si piangono addosso”, “quelli non autonomi”.

L’oppressione interna è un modo molto efficace perché rimaniamo zitti e buoni. È un fenomeno ricorrente nelle categorie marginalizzate, che in questo modo rimangono a contendersi gli ossi.

[Elena]

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