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“Non piangerti addosso e sii positivo!”

Spesso la componente sociale della disabilità viene occultata, cancellata, non solo da persone esterne alla disabilità ma anche dalle persone disabili stesse. 

Si parla molto della componente individuale della disabilità, di “tragedie” personali o di “accettazione” della propria disabilità, e poco, troppo poco, del lato sociale, delle opportunità mancate, dei diritti. 

Non è raro trovare interviste di persone disabili più o meno conosciute, magari perché si sono distinte in qualche campo, che danno consigli ad altre persone disabili. La domanda è dell’intervistatore è un classico: “Che consiglio ti senti di dare alle altre persone disabili?” 

L’idea è, a quanto pare, di incoraggiare e creare empowerment in altre persone disabili, ponendosi un po’ come dei modelli di riferimento. 

Sorprendentemente, però, molto spesso la risposta è su queste linee:

Dovrebbero uscire di più, non chiudersi in casa. Non dovrebbero vergognarsi di essere come sono e chiudersi in sé stessi ma piuttosto affrontare il mondo“. O ancora, sono frequenti discorsi motivazionali che includono concetti come “forza di volontà“, “positività” e “se vuoi, puoi“.  

Ora, sono tutti consigli che vogliono essere di incoraggiamento, ma che hanno un forte sapore di ipocrisia.

Sono a dir poco ingenui, irragionevoli, persino. Fuorvianti.

Veramente chi dà queste risposte pensa che parlare della questione della scarsa socializzazione di alcune persone disabili possa prescindere da un discorso sui diritti? Veramente non sanno che molte città, soprattutto di provincia, sono piene di barriere architettoniche che riducono all’osso le opportunità, e che la maggior parte delle persone non autonome non ha assistenza al di là di quella dei familiari? 

Veramente pensano che sia questione di forza di volontà?

Anche consigli come “non bisogna piangersi addosso, molte persone disabili si lamentano sempre e hanno un eccessivo vittimismo” sono particolarmente fastidiosi. Quanto giudizio c’è, in queste affermazioni, quanto paternalismo, quanto poco rispetto?

Chi si permetterebbe di dire di non piangersi addosso a una donna che viene licenziata perché è iniziata una gravidanza? Chi andrebbe a dire a una persona gay stanca delle battutine di certe persone di non lamentarsi e affrontare tutto con positività?

Chi andrebbe a dire a una persona dalla pelle nera di non fare la vittima perché il proprietario di un appartamento non affitta a stranieri, e di avere tanta forza di volontà? 

Di fronte a questi discorsi mi viene sempre in mente un ipotetico adolescente in carrozzina (o con altre disabilità) che legge o sente queste cose.

Come può sentirsi un quindicenne che sta cercando di capire il proprio posto nel mondo e di dare un senso alle cose nel sentire questi discorsi semplicistici, per cui tutto si riduce alla forza di volontà? 

Che effetti psicologici pensate che abbia il motto “se vuoi, puoi, anche se sei disabile” in un ragazzo che comprensibilmente non avrà il senso critico affinato come quello di un adulto, che non conoscerà a menadito le dinamiche dell’oppressione e dell'(in)giustizia sociale?

Lui quello che sa è che ha assistenza solo per poche ore a settimana, e che non può uscire quando vuole come i suoi amici, anche perché la sua città è poco praticabile con la carrozzina. 

Ma se nei discorsi motivazionali dei presunti “role models” il nocciolo della questione è completamente decentrato, quanta inadeguatezza potrà provare un adolescente? Quanta confusione?

Hai voglia la forza di volontà, per molte situazioni sarebbe più realistico parlare di poteri da supereroi Marvel.

[Maria Chiara]

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