(*o operatori sanitari)
Lo stigma legato alla disabilità colpisce forte anche i medici, gli infermieri e tutti gli operatori sanitari.
Già nell’ambito accademico medico la disabilità è vista esclusivamente come problema medico, e non ci si sofferma sugli aspetti sociali. C’è una visione radicata di disabilità come problema individuale, e la didattica delle università di medicina e altre professioni sanitarie raramente si concentra sulle istanze politiche dell’essere pazienti.
Questo si ripercuote inevitabilmente nell’esperienza del paziente disabile.
Ultimamente la medicina di genere è più conosciuta e applicata, specialmente legata alla presenza di patologie croniche e disabilità invisibili.
Numerosi studi ci dimostrano che la combo paziente donna + disabilità invisibile porta spesso a non essere prese sul serio per quanto riguarda il dolore provato, porta a essere minimizzata nel dolore, nella propria credibilità, nell’ascolto che si riceve.
Questo succede anche a chi ha disabilità visibili.
Usare una carrozzina, essere ciechi o sordi, esprimersi in modo diverso dallo standard sono associati in un immaginario comune ad una ridotta competenza.
Sono tantissimi gli operatori sanitari che ad esempio bypassano il paziente disabile per rivolgersi a un suo accompagnatore. E c’è trasversalità in questo, è un fenomeno che coinvolge potenzialmente tutti, dal primario del reparto all’operatore dell’ambulanza. Non è una semplice scortesia: la mancanza di ascolto in ambito sanitario è attivamente pericolosa. Se Gigi il panettiere lascia che i suoi pregiudizi sulla disabilità inficino il rapporto con il cliente disabile, se non comunica con lui, se gli fa una carezza sulla testa e poi parla con il suo accompagnatore, il cliente disabile ci rimane male e più o meno finisce lì. Ma se è Gigi l’infermiere o Gigi il medico a fare una cosa del genere viene compromessa la relazione di cura.
Cosa va tenuto presente nella cura dei pazienti disabili:
Dare per scontata, sempre, la competenza
Male che vada, se ci fossero problemi di comunicazione, in un secondo momento, ci sarà magari un accompagnatore ad aiutare se necessario, ma in prima istanza ci si rivolge al paziente, punto.
Molte persone disabili tra l’altro ne sanno tantissimo sul proprio corpo, e possono semplificare il lavoro al medico, se solo vengono ascoltati.
Non ruota tutto intorno alla disabilità/condizione “di base”
Capita molto spesso che i medici attribuiscano un nuovo sintomo o una nuova problematica alla condizione di base di disabilità.
Fai fatica a fare determinate cose? Hai dolori mai avuti? È dovuto alla tua patologia.
In un loop simile a quello che vivono le persone grasse quando si dice loro che il tale problema X è da attribuire al peso eccessivo, anche per le persone disabili c’è una tendenza simile. È di fatto una leggerezza nell’approcciarsi al paziente disabile, che porta a sottovalutare e ignorare problematiche importanti.
Questo vale anche per gli psicoterapeuti: non è detto che la disabilità sia causa di malessere, o che tutto debba essere riconducibile a quella (e allo stesso tempo è essenziale ricordare che l’oppressione sistemica probabilmente ha un impatto sulla salute mentale).
Chiedere sempre il consenso
Per una persona disabile (che potenzialmente ha un funzionamento non standard) è vitale che si chieda il permesso prima di maneggiare il suo corpo o attuare una pratica o una terapia. Eppure spesso non solo la fretta e la scarsità di personale, ma anche lo stigma sulle persone disabili porta a bypassare questo passaggio fondamentale, ad esempio pensando che sia inutile comunicare con chi ha disabilità intellettive o che per una persona non autosufficiente non valgano i confini, tanto è abituata a farsi assistere.
Mettere in discussione la propria idea di “qualità della vita”
Ognuno di noi cresce in una società abilista e quindi tutti noi abbiamo un lavoro di decostruzione da affrontare. La nostra idea di disabilità non è neutra, è politica: la disabilità è una costruzione sociale, ed è molto importante esserne consapevoli in quanto operatori sanitari. L’idea di qualità di vita quando c’è di mezzo la disabilità è spesso abilista e irrealistica.
Lo sanno bene molte persone con paralisi cerebrale che da piccole vengono sobbarcate di terapie infinite che tolgono spazio al tempo libero, allo studio e al gioco, per essere in grado di fare qualche passetto in più senza carrozzina ma stancandosi tantissimo. Lo sanno bene molte persone autistiche, sottoposte a terapie estenuanti nel nome di una iper normalizzazione. Lo sanno bene molte persone considerate, dall’altra parte, “troppo disabili”, con una qualità di vita troppo bassa, per essere curate con gli stessi standard della popolazione generale. Lo sanno bene molte persone con disabilità significative che si trovano di fronte operatori sanitari che, ancora nel 2025, si stupiscono che abbiano un lavoro, una famiglia o studino.
L’accessibilità è fondamentale
L’accessibilità per i pazienti disabili non è un “extra”.
Studi medici accessibili, segnaletiche per tutti, rampe (fatte bene) per superare gli scalini, ascensori adeguati, sollevatori, mammografie accessibili, strumenti odontoiatrici per ogni necessità devono diventare la norma.
Le persone disabili non si curano e non fanno abbastanza prevenzione per malattie serie a causa della mancanza di accessibilità, le statistiche sono a portata di mano di tutti con una ricerca in rete, e sono disastrose.
Ci sarebbe tanto altro da dire. È necessario fare formazione ai medici e ai futuri medici (e operatori sanitari). Servono giornate di formazione con persone disabili nelle università di medicina!
[Maria Chiara]