C’è un mondo sommerso in cui le persone disabili fanno i salti mortali per avere assistenza (attraverso cui fare cose tipo andare a fare la spesa, lavarsi i denti, fare pipì, andare al lavoro). Un mondo che dovrebbe interessare chiunque si interessi di giustizia sociale.
Abbiamo condiviso l’annuncio di una donna disabile che cercava la classica “badante convivente” (dicitura presente e prevista da contratto nazionale, per quanto possa fare schifo il termine “badante”). Offriva vitto e alloggio e i giorni liberi erano sabato pomeriggio e domenica.
Ecco la discussione che è seguita.

Ok, parliamone.
Quando vediamo questo tipo di annunci, dobbiamo avere presente la situazione delle persone non autosufficienti italiane. La dicitura “libera da impegni familiari” può far storcere il naso, ma se si candida una persona con famiglia, che quindi non può convivere, si perde tempo in due. Per quanto riguarda la formula di lavoro in sé, in convivenza, è una formula prevista dal contratto di lavoro. È terribile che esista praticamente solo questa formula per avere un’assistenza completa, ma non possiamo prendercela con le persone non autosufficienti che la usano. E perfettamente legale.
Non si tratta della ditta cattivona che sfrutta i lavoratori e ha un rendiconto in soldi, ma di una persona disabile che letteralmente, senza aiuto, non può fare ad esempio le seguenti cose:
Mangiare
Uscire al sole
Fare pipì
Qual è l’alternativa?
L’alternativa, se così si può chiamare, per una persona non autosufficiente, è andare in struttura. Che per chi non lo sapesse presenta dinamiche simili al carcere e un altissimo rischio di abusi. Prostituirsi è un’altra opzione, per avere i soldi necessari per pagare più assistenti.


Basta andare in Svezia, Danimarca, Norvegia, Slovenia, alcuni paesi degli Usa, Inghilterra…
Non ha senso rimproverare una persona disabile che, probabilmente, non ha letteralmente altro modo di soddisfare i bisogni fondamentali. Chi è interessato, e data la situazione degli affitti e del carovita di questa Italia allo sfacelo ci sarà chi è interessato, risponderà e si creerà una situazione soddisfacente per entrambe le parti. Nessuno punta una pistola alla nuca a nessuno per farlo diventare assistente. Ma ricordiamoci che la pistola è puntata alla nuca delle persone non autosufficienti, che devono barcamenarsi in un sistema impossibile per sopravvivere.
Se quando vediamo un annuncio del genere ci viene da storcere il naso o arrabbiarci, prendiamo quella rabbia lì e scriviamo una pec al governo, all’amministrazione regionale, doniamo alle associazioni che fanno attivismo per l’assistenza personale, entriamo a far parte delle associazioni che fanno attivismo per l’assistenza personale, condividiamo online e offline le voci che ne parlano, scendiamo in piazza, facciamo il nostro per cambiare le cose.


Ci auspichiamo che in tanti abbiamo gli stessi scrupoli quando a far fare lavori con orari “particolari” sono enti in cui la disabilità non c’entra (hostess, ditte che ti mandano in trasferta senza preavviso, ditte che ti fanno fare orari di lavoro così stancanti e lunghi che non hai tempo neanche di pensare). Certo che la legge non è garanzia di moralmente giusto!
Però qui si sta criticando una persona disabile che usa un contratto esistente (creato apposta per mantenere dei costi abbastanza bassi e quindi non far protestare troppo la gente che in qualche modo così si arrangia)






Riflettiamo sul fatto che ci viene facile proiettare su una persona disabile tutto lo schifo che proviamo nei confronti delle ditte, dei magnati, dei potenti che sfruttano. Le persone disabili non sono ditte, non sono alieni, sono persone che cercano, oltre che di arrivare a fine mese, di sopravvivere con un’assistenza insufficiente.
Ogni tanto si vedono annunci di persone disabili di questo tipo ridicolizzati sulle pagine di Possibile o pagine che denunciano lo sfruttamento sul lavoro. Questa non è sinistra. Questa non è attenzione alla giustizia sociale. È uno sguardo acritico, superficiale e non intersezionale sull’oppressione.
Perché se non si parla anche di strutture o di persone disabili segregate in casa, cioè della violenza che esiste ai danni delle persone disabili, il discorso è incompleto e abilista.
È colpa dei senzatetto se non hanno la casa, è colpa degli immigrati se non hanno i documenti… No, è colpa dello Stato. Questo è assodato. E allora applichiamo la stessa logica alle persone disabili che si arrabattano come possono per avere assistenza, e quindi vivere.
