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“Provare” la disabilità

Esistono varie iniziative in cui si simula la disabilità con lo scopo di creare conoscenza e sensibilizzare. Ad esempio iniziative dove le persone salgono su delle carrozzine e percorrono un tratto di strada per rendersi conto delle barriere architettoniche. L’intento è buono, ma siamo sicuri che siano utili? Io credo che a volte possano addirittura essere controproducenti.

Dietro all’apparenza di iniziative lodevoli e dietro alla buona volontà degli organizzatori ci sono varie considerazioni da fare.

Una persona che cammina e che trascorre un’ora su una carrozzina manuale scopre un mondo pieno di ostacoli: non è facile trovare una strada di una città italiana che non abbia scalini o alberi piantati in mezzo al marciapiede. E fin qua tutto ok: di certo male non fa che una persona non disabile tocchi con mano – anzi, con ruota – le barriere architettoniche: diventerà probabilmente un cittadino più attento, magari anche solo nel parcheggiare l’auto.

Il problema è che queste simulazioni, inevitabilmente, danno delle prospettive molto superficiali delle vite delle persone disabili, perché si tratta di persone che non hanno mai usato carrozzine manuali che si trovano improvvisamente a doverne guidare una a forza di spinte. Tra parentesi, di solito non si fanno testare carrozzine elettriche in queste iniziative (perché giustamente bisogna evitare incidenti disastrosi) però per amor di rigore si dovrebbe dedicare maggiore attenzione alla mobilità di chi usa le carrozzine elettriche, che sono anche quelle che più risentono delle barriere architettoniche.

Ma torniamo al povero bipede che si sta spingendo a forza di braccia: è chiaro che troverà una certa difficoltà, non avendo esperienza nel guidare una carrozzina, figuriamoci su un marciapiede pieno di crateri. È un’esperienza per forza di cose non autentica: la persona che guida la carrozzina non è davvero disabile, quindi non è dotata di tutta l’esperienza e le strategie di adattamento di una persona disabile “vera”. Non conosce il modo ottimale per spingersi, la razionalizzazione dei movimenti in modo da risparmiare energie, le tecniche migliori per superare gli ostacoli.

Per lui o lei sarà quindi un’esperienza non facile e potenzialmente frustrante, perché si muoverà in un modo che non gli appartiene e a cui, molto semplicemente, non è abituato. In quel momento non vive l’esperienza di una persona disabile (per cui spesso la carrozzina è il modo più naturale di muoversi) ma un’esperienza, potremmo dire, peggiorata dalla sua inesperienza.

Il rischio che si corre con queste iniziative è che la frustrazione per le difficoltà nel muoversi sfoci automaticamente in quel pietismo che è il nemico numero uno dei diritti.

Il rischio è che la persona che ha provato l’esperienza se ne vada a casa con una sorta di conferma che la vita delle persone disabili è brutta e tragica.

Tra l’altro, un assembramento di persone deambulanti che usano delle carrozzine pone anche delle questioni di rispetto di un’identità, forse secondarie e sfumate, ma comunque importanti. La disabilità è un’identità, né più ne meno che essere gay o donna o di pelle nera, ed è vissuta da molti come tale, con i concetti di disability pride e di comunità disabile. La disabilità non è un costume o un vestito da indossare e togliere a piacimento.

Inoltre, non ci dovrebbe neanche essere bisogno di provarla come esperienza, per sapere che i marciapiedi vanno costruiti con le rampe, i parcheggi per disabili non vanno occupati e gli esercizi pubblici devono essere accessibili.

Ci sono leggi per questo, ed è un po’ triste pensare che le opere di sensibilizzazione non avrebbero senso se le leggi fossero implementate.

Non c’è bisogno di simulare di essere una donna incinta per sensibilizzare sulla necessità delle casse prioritarie, no? È un dato di fatto che non deve nemmeno essere spiegato, e lo stesso dovrebbe succedere, in un paese avanzato, con le rampe per superare gli scalini.

Queste opere di sensibilizzazione sono cose con cui sicuramente molti politici – a livello locale e non – si riempiono la bocca, dato che la disabilità è una realtà che si presta molto ad essere sfruttata e strumentalizzata, insieme all’immigrazione.

Senza voler assolutamente sputare sull’impegno di associazioni e politici, e mantenendo il rispetto per le buone intenzioni altrui, mi sento di fare un passo indietro prima di elargire lodi sperticate alle iniziative di simulazione della disabilità.

Le iniziative sulla disabilità in generale sono troppo spesso legate a un sentirsi “bravi” da parte degli amministratori, troppo spesso appellate in termini di “iniziative lodevoli”, e sui giornali si parla degli organizzatori come di persone particolarmente sensibili, ma sull’effettiva utilità di alcuni eventi ci sarebbe da disquisire.

Insomma, di solito queste attività non contribuiscono efficacemente all’avanzamento a lungo termine del movimento per i diritti delle persone disabili.

Il fatto è che dovremmo accogliere positivamente le differenze come dato di fatto dell’esistenza umana senza che sia necessario imitarle prima.

[Maria Chiara]

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