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Giornata della Memoria, violenza di ieri e violenza di oggi

L’orrore nazista è cominciato con le persone disabili. Esse furono un vero e proprio laboratorio di sterminio per elaborare i mezzi più efficaci da usare poi nei campi di concentramento. Uccisioni compassionevoli, venivano chiamate, per delle “vite indegne di essere vissute”.

Nei libri di scuola, sull’Aktion T4 c’è una riga se va bene.

Ma anche quando si conosce questa storia, se non la si mette in correlazione con il presente diventa un inutile esercizio accademico.

Perché oggi, in Italia, quali sono le storie che sentiamo?

Storie di persone disabili che vogliono vivere in libertà con degli assistenti, e non possono. Se decidiamo di vivere in delle strutture, ci dicono non si preoccupi, ci pensiamo noi. Se vogliamo partecipare a un “progetto” (li chiamano così) di assistenza personale non è mica così semplice… I fondi sono pochi, le persone tante – così ci dicono –, e ci dobbiamo spartire le briciole. Il tutto condito da un’insopportabile dose di paternalismo: dobbiamo descrivere la motivazione per cui vogliamo la “vita indipendente”, gli obiettivi: ci danno un punteggio.

A 40 anni dalla legge Basaglia, circa 250mila persone disabili e non autosufficienti vivono ancora in struttura. Istituzioni totali, o realtà poco diverse.

Altro che vivere dove, come e con chi vogliamo come impone la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Le resistenze a far vivere le persone a casa propria sono insidiose, estese e tenaci, legate ad interessi economici.

La mancata assistenza è il motivo principale dell’isolamento delle persone disabili. Una segregazione che avviene non solo (o non cosi tanto) per limiti strutturali o barriere, ma per l’assenza di fondi per l’assistenza. Assenza di supporti, assenza di speranza per l’immediato futuro e inconscia convinzione che niente può cambiare.

Storie di bambini autistici picchiati (è successo a Bari non molto tempo fa, e chissà quante altre volte succede).

Storie di segregazione anche ben oltre le strutture: vicende dove ad essere prigione è la propria casa. Storie comuni di persone disabili e reclusione, di persone anziane che muoiono dopo 5 anni trascorsi senza uscire di casa. È successo a Pescara: 5 anni in cui un uomo ha continuato inutilmente a supplicare un ascensore.

È chiaro che, se ancora nella nostra epoca succedono cose simili, il concetto di vite indegne di essere vissute non è qualcosa che appartiene al passato.

Molte cose sono migliorate, dagli anni ’30, ma non abbastanza, e le vite delle persone disabili sono sempre in bilico.

Oggi, poi, serpeggia in Italia un odio che dovremmo tutti riconoscere per quello che è, un odio che dovrebbe farci scattare più di un campanello d’allarme e che dovremmo combattere.

Malgrado l’ipocrisia di chi oggi è al governo e piange i morti della Shoah, si stanno ripetendo gli stessi meccanismi.

Fare memoria non è una sterile commemorazione, è essere sempre vigili contro ogni ingiustizia.

[Maria Chiara]

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