Ero piccola quando notai che a livello sociale alle donne veniva richiesto (imposto) di depilarsi e agli uomini no. Mi fece abbastanza incazzare, e giurai appassionatamente che da grande non mi sarei depilata. Volevo fare la donna che non si depila e che sceglie di intenderlo come atto politico, per affermare qualcosa. Quella che la guardi e pensi ah, quella donna ha scelto di non depilarsi per sfidare le imposizioni sociali.

Sì, lo so che il femminismo dice che puoi fare quel cacchio che ti pare del tuo corpo, eh, compreso depilarti quanto ti pare e piace, un attimo, non ero a quel livello di complessità.

Poi, passati un po’ di anni, mi venne la pulce nell’orecchio. Compresi che in quanto donna disabile, le mie velleità di protesta sociale non avrebbero avuto lo stesso valore, o almeno non il valore che avevo pensato di dargli fino a quel momento. Una donna disabile che non si depila semplicemente concretizza quello stereotipo della persona disabile sciatta e trascurata che vediamo nei film. Mi figuravo come un’immagine rassicurante, una “donna disabile che non si depila perché non gliene frega di essere presentabile”, oppure “che non può perché ha una vita faticosa”.

(Questo ovviamente era quando me ne fregava ancora del giudizio degli estranei.)

Però, prima che potessi prendere una decisione sull’annosa questione, venne fuori che il problema non si poneva.

Ho i peli – quelli che sono visti da più persone insomma – radi, sottili e biondi. E questo mi ha tolto dall’incomodo, perché sono davvero quelli che la società definirebbe “peli discreti”. Quindi restano lì, senza ulteriori pare mentali. Ma accidenti che rottura le aspettative sociali incrociate quando fai parte di due categorie marginalizzate.

[Elena]

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