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Perché non dobbiamo separare le lotte tra persone con diverse disabilità

Quando si parla di disabilità, discriminazione e pari opportunità a volte si insiste sul fatto che le disabilità sono tutte diverse e che per ognuna va fatto un discorso a parte.

Spesso è una retorica fuorviante.

Chiaramente la community delle persone disabili è molto eterogenea ed è importante tenerlo presente per non banalizzare le questioni. Ma in realtà l’abilismo si manifesta in modo estremamente simile nei confronti di persone con disabilità diverse.

Mentre siamo occupati a dire che “ogni disabilità è un mondo a sé”, l’abilismo se ne frega e avvolge chiunque sia disabile senza fare distinzioni, come un fumo schifoso e nauseabondo. Persone con la sindrome di Down e persone cieche vivono il paternalismo strisciante quando vengono scartate con delle scuse ai colloqui di lavoro, persone in carrozzina e persone con disabilità intellettiva si sentono dire “che bravo che lavori, così ti tieni impegnato!”, persone sorde e persone autistiche sono protagoniste di video acchiappalike con la musica strappalacrime.

Vedo tanta enfasi sul concetto che ogni disabilità sarebbe a sé.

Solitamente chi lo ripete sono le persone non disabili, ma anche le persone con disabilità fisiche o meno impattanti: nei discorsi sulle pari opportunità si sente dire che per le persone con disabilità intellettiva (o comunque disabilità definite più “gravi”) è diverso, che ci sono necessità diverse.

Ma non ci sono necessità diverse o speciali. La necessità comune a tutti rimane quella di vivere bene e liberi.

Invece spesso passa il messaggio che in pratica se le disabilità sono diverse, le “soluzioni” per raggiungere le pari opportunità dovrebbero essere diverse: guarda caso, di solito alle persone con disabilità più impattanti si rifilano le soluzioni che prevedono la minore libertà.

Quando questi discorsi li fanno le persone disabili, solitamente entra in campo qualcosa di molto comune, e cioè l’urgenza di affermare la propria identità di persona con una disabilità meno stigmatizzata allo scopo di distanziarsi dalle persone con disabilità intellettiva. Uno sforzo dunque per essere percepiti come “più simili” alle persone non disabili e meno simili a quelle percepite come persone disabili “di serie B”, a cui è legato uno stigma peggiore: in definitiva un meccanismo di sopravvivenza, per poter godere dei vantaggi sociali che ne conseguono.

È importante invece ricordarsi, come community di persone disabili, che, molto banalmente, è più ciò che abbiamo in comune che ciò che ci differenzia: l’abilismo ha mille facce ed è pervasivo.

Per le persone disabili che hanno avuto pochi contatti con altre persone disabili, è sempre una sorpresa dolceamara a un certo punto scoprire che non solo a quelli con la tua stessa disabilità succedono le cose più assurde, ma anche a quelli con disabilità molto diverse dalla tua. E scoprire che si è trascorso un sacco di tempo a pensare che eravamo gli unici a cui capitavano certe cose.

È su questo che dobbiamo porre l’accento. Sul confrontarsi con persone con disabilità diverse dalla nostra, oltre che con la stessa nostra. Sul trovare insieme strategie comuni. Perché alla fine quello che ci unisce è la resistenza all’abilismo, e non è una questione da poco.

[Maria Chiara]

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