Un giorno alle elementari ero in classe, durante la lezione. Eravamo tutti chini sui quaderni e le finestre erano aperte. C’era odore di carta, evidenziatori e matite temperate.

Io stavo scrivendo, quando a un certo punto sentii un movimento. Un movimento dietro la schiena. Piccolo, leggero. Ma decisamente lo sentii.

Magari era l’etichetta della canottiera che si era spostata.

Continuai a scrivere. Passarono dieci secondi, e lo risentii, questa volta più distinto. Come di una monetina fredda che si infilava giù scorrendo sopra la canottiera.

All’epoca tenevo un busto quando stavo seduta: era di plastica, costellato da piccoli buchi tipo Emmental. Mi stava sopra la canottiera e sotto la maglia, quindi non potevo semplicemente tastarmi la schiena con la mano. Avevo bisogno di una seconda persona.

Sospirai e posai la penna. “Maestra? Mi sento qualcosa nella schiena.”
Non avevo l’assistente per tutte le ore di scuola, quindi quando l’assistente non c’era la maestra era avvezza a togliermi il cardigan almeno una volta al giorno, a passarmi i libri occasionalmente e a scrivere per me nella parte alta del quadernone perché io avevo le braccia troppo corte. Ora era il momento di vedere cosa non andasse sulla mia schiena.

La maestra interruppe il dettato e mi andò alle spalle. Tra la canottiera e il busto di plastica c’era pochissimo spazio, un centimetro al massimo e neanche ovunque. La maestra provò a scostare un po’ i vari strati di stoffa, ma non vedeva niente. Poi…

“Aspetta, c’è qualcosa, lo vedo.

È qualcosa di piccolo… No aspetta, è abbastanza grosso invece. Non vedo bene”

Strappò un pezzo di carta e provò a raggiungere la cosa con quello, ma non ci arrivava.

Decidemmo che era opportuno risolvere la questione in bagno. La maestra chiamò la bidella, che – quando non c’era l’assistente – mi aiutava in bagno. E tutte e tre andammo in spedizione verso il bagno degli insegnanti, dove c’era un lettino. Percorremmo il corridoio inondato di luce cercando di fare in fretta per non lasciarmi in balìa dell’ospite sgradito e dalla natura sconosciuta, che a giudicare dai movimenti era vivo e aveva una volontà propria.

Togliemmo maglia e busto con l’efficienza di un’operazione chirurgica, e rimasi sul lettino in canottiera, seduta con le gambe a penzoloni. La bidella e la maestra mi squadrarono e di primo acchito, di nuovo, sembrava non ci fosse niente di strano addosso a me.

Poi la videro, una cimice saldamente aggrappata alla mia canottiera che ci fissava sorniona. Bella grossa e verde, la cimice che si era tuffata nel centimetro scarso tra me e il mio busto.

Un microsecondo di silenzio. Poi la maestra scattò e la catturò tra il pollice e l’indice, con faccia schifatissima corse ad aprire la finestra e la buttò fuori.

Non so eh, magari voi prendete cimici potenzialmente puzzolenti a mani nude tutti i giorni, ma fu bello poter contare su un così pronto intervento di rimozione parassita.

Che poi vabbè, povera cimice, lei magari cercava solo un posto caldo.

[Elena]

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