Disabilità e (è) rivoluzione

La nostra è una società basata su un sistema, capitalista, che ci sta letteralmente uccidendo. Non solo con la sopraffazione e la violenza, ma anche con l’individualismo, la competizione posta come valore, la produzione e il consumo sfrenati, l’isolamento, l’alienazione che deriva dallo stare ognuno per conto suo pensando al proprio orticello. Sono tutte cose anti-umane. Portano letteralmente alla morte, lo stiamo vedendo, sta succedendo adesso e ovunque, in modi diversi.

Nel costruire un’alternativa al sistema attuale devono confluire più esperienze e saperi, e tra questi c’è sicuramente l’esperienza della disabilità. Perché le persone disabili, già solo esistendo, sono una nemesi del capitalismo.
Dall’esperienza della disabilità possiamo tutti imparare delle cose fondamentali, dei punti di riferimento se vogliamo arrampicarci fuori dal baratro in cui ci troviamo.

La disabilità spesso ti impone di prenderti cura di te stesso e di non strafare, altrimenti ne pagherai le conseguenze. Ti incoraggia a rallentare, a capire quali sono le priorità, a dire di no, a mettersi e a mettere dei limiti. Ti mostra la centralità dell’interdipendenza. Le persone percepite come “molto” disabili hanno bisogno in modo più evidente di altre persone per sopravvivere, ad esempio per essere aiutate a vestirsi o a cucinare. Ma questo fatto può essere uno spunto per interrogarsi sulla nostra condizione umana: chi è che non ha bisogno di altre persone per sopravvivere? In pochissimi ci costruiamo la casa da soli o ci autoproduciamo tutto il nostro cibo, e nessuno può fare a meno del supporto emotivo. Semplicemente, alcuni bisogni sono più evidenti di altri perché non sono normalizzati. Il mito del “farcela da soli” e del non chiedere aiuto a nessuno le persone disabili non possono che guardarlo con scetticismo, sapendo che è qualcosa che semplicemente non può esistere.

Ancora, chi non rientra negli standard corporei/mentali ha già potenzialmente un punto di osservazione privilegiato per guardare con più distacco le pubblicità martellanti della nostra società del consumo che insinuano che non vai bene così come sei. Per chi è abituato a non essere previsto, è più facile che questi messaggi siano solo voci insensate. Chi è già ai margini non è interessato ad acquistare le ricette preconfezionate per la felicità.

E ancora, forse nessuno come le persone disabili fa affidamento sulla creatività, perché la strada maestra non è pensata per loro. Le persone disabili, poi, sono tra quelle che imparano prima che i media possono dire bugie. Sono costrette a impararlo dal modo in cui, praticamente ovunque, si parla di disabilità: quando la propria verità, intima, di vita, è bistrattata e distorta, a un certo punto non si possono che aprire gli occhi sul fatto che il mondo va guardato con occhio critico, non per snobismo ma per sopravvivenza. Le persone disabili vivono sulla propria pelle, sulla propria carne viva, il fatto che la democrazia nove volte su dieci è solo una parola.
Le persone disabili imparano già da molto presto di non vivere nel migliore dei mondi possibili, e sviluppano un potenziale rivoluzionario di pratiche, di conoscenze, di cultura di interdipendenza che è prezioso. Il primo passo per una rivoluzione, per venire fuori dal mondo di sopraffazione in cui viviamo, è riconoscere i nostri bisogni umani.

[Maria Chiara]

Descrizione immagine: la scritta “Disabilità è rivoluzione”, ma l’accento sulla “e” è fra parentesi, in modo che la frase possa essere anche “Disabilità e rivoluzione”

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