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Concerti, ansie e vittorie

Sabato sono andata a un concerto.

Per chi non lo sapesse, i concerti sono per i disabili in carrozzina motivo di ansia. Non lo sapevate? Ecco, sapevatelo. Ai disabili appioppano in genere i posti più schifosi di tutti, solitamente dietro dietro. Ma dietro.

Di solito i tipi della security fanno un gesto come a dire “ce penso io” e ti accompagnano in posti dove se sei fortunato vedrai gli artisti col binocolo, se invece ti va male godrai di una fantastica vista sederi. Questo vale anche se hai comprato i biglietti per le prime file. Ti dicono che le carrozzine stanziate in qualunque luogo non sia stato precedentemente adibito per loro costituiscono un pericolo per la sicurezza propria e altrui, e non sempre vale spiegare che mi muovo autonomamente e anche velocemente e che il problema non sussiste. Il più delle volte non vale spiegare che se la tua testa è ad altezza bambino e a un certo punto tutti si alzano in piedi, tu del concerto non vedrai nulla.

Ad ogni concerto devo quindi studiare nel dettaglio un piano d’attacco e capire qual è il modo migliore per espugnare un posto decente.

Una volta, ad un concerto di un gruppo che adoro e per cui avevo comprato i biglietti in prima fila mi hanno fatto stare dietro senza voler sentire ragioni. C’era anche Elena, e a lei l’hanno fatta andare davanti a patto che abbandonasse la carrozzina: è stata per due ore in braccio a una volenterosa assistente, io sono rimasta in ultima fila.

Dopo le prime canzoni tutti avevano abbandonato i propri sedili ed occupavano disordinatamente la sala, in piedi a ballare e bere, però ogni volta che provavo a spostarmi di qualche centimetro venivo bloccata fisicamente da un tipo della security con una risolutezza che neanche con un sorvegliato speciale.

Ad un altro concerto ci hanno parcheggiato su una piattaforma dietro a tutti. La piattaforma era talmente poco elevata che una volta che la pista da ballo fosse stata piena, dalla nostra posizione avremmo visto solo una distesa di schiene. Abbiamo annuito compiacenti alla security, abbiamo aspettato che si allontanassero e ci siamo piazzate sotto il palco. Eravamo arrivate in anticipo ed è stato facile.

Non sempre però si riesce a spuntarla: a volte semplicemente si è costretti a stare nei posti riservati ai disabili, e si rimane sui balconcini invece che sulla pista da ballo oppure dietro a tutti. Sì, anche se sei arrivato in anticipo e ci sarebbe tutto il tempo di prendere i posti migliori.

Una decina di giorni fa siamo andate lì sul luogo del concerto con largo anticipo, determinate a non farci mettere dietro. Ci ha accolto una signora che avevo contattato su Facebook per segnalare la presenza di un accompagnatore: lei mi aveva puntualmente informato che ci avrebbero messo in una sezione dedicata, al che io avevo risposto che non ne avevamo bisogno, e lei non mi aveva più scritto.

Il giorno del concerto ha subito chiesto chi tra me e Elena fosse “quella cattiva” con cui aveva parlato su Facebook. Dirle gentilmente che non avevamo bisogno dei posti per disabili sembra essere bastato a farmi meritare il titolo di cattiva. Per quanto fossi preoccupata di non riuscire ad ottenere un posto decente, ho dovuto trattenermi dal ridere perché “cattiva” era davvero troppo comica come dicitura.

Le abbiamo detto che avremmo voluto andare abbastanza davanti, magari un po’ laterali, altrimenti le persone in piedi ci avrebbero coperto, e lei ha snocciolato un discorso che faceva più o meno così: i disabili non possono stare assolutamente davanti; è pericoloso per la vostra e altrui sicurezza; io lo so perché sono un medico.

Poi ci ha accompagnato con aria irrevocabile verso la zona per i disabili (che era laterale e parecchio lontana dal palco, e con tante persone a coprirci).

Abbiamo spiegato la solita tiritera che siamo basse, ad altezza sedere, e che quel posto era abbastanza scomodo: inaspettatamente lei ci ha passato a un collega, tipo clienti difficili da sbolognare. Il collega era più gentile, ha ascoltato le nostre ragioni e ci ha condotto in un posto sempre laterale ma sotto al palco. Ci ha lasciato con aria dubbiosa, non prima di averci ripetuto che lui ci faceva questo favore però ce lo sconsigliava, eh, per la nostra incolumità, perché lì la musica era altissima, la gente avrebbe ballato e ci sarebbe andata addosso. Insomma, l’apocalisse, via.

In realtà la gente non era così tanta, ha ballato solo poche canzoni e non ci sono stati incidenti mortali.

Tutto questo per raccontarvi il mio vissuto di concerti, un vissuto dolce-amaro che è un po’ uno spaccato di una realtà piena di regole per i disabili applicate senza il buon senso.

Io sono sempre in assetto di guerra prima dei concerti. Per forza. Devo essere preparata fisicamente e psicologicamente alla performance “difendo i miei diritti”, devo avere sensi tesi e parlantina sciolta. Ogni volta è un po’ un salto nel vuoto, il cui esito dipende in parte da me, dalle mie abilità persuasive e da quanto riuscirò a mostrarmi risoluta. La pena per l’insuccesso è vedere gli artisti in formato microscopico oppure avere la visuale coperta da gente saltellante.

Ogni volta mi bevo due caffè, prendo l’integratore di vitamine, do l’olio alla mia carrozzina per migliorarne le prestazioni, fletto i muscoli della mano destra che guida il joystick e faccio “ssa, ssa, prova” davanti al microfono.

Sabato ero particolarmente preparata, il concerto era nella mia città, che non è che brilli per accoglienza ai disabili, figuriamoci dove ci metteranno, mi dicevo.

A quel concerto ci tenevo, quindi per l’occasione avevo la cartuccera pronta nascosta sotto la giacca, mi ero dipinta i simboli di guerra sulle guance e avevo installato anche un paio di ali meccaniche sulla carrozzina per volare nelle prime file nel caso in cui mi avessero segregato dietro.

E invece no.

Invece è successa la maggìa.

I tipi della security ci hanno detto che i disabili potevano stare davanti, in prima fila, e io che ero pronta alla battaglia mi sono sgonfiata tipo palloncino, e sì cavoli sono felice, ho pensato, ma se lo sapevo potevo lasciare la Colt a casa, e evitare di imbrattarmi la faccia coi simboli di guerra Apache e di caricarmi di adrenalina che poi non posso scaricare.

E non intendevano solo prima fila, no, proprio davanti al palco, aspetta, dove?, proprio oltre le transenne.

Ah.

Ero a quattro metri dal palco e penso di aver sorriso non stop per i primi dieci minuti. E poi hanno cominciato ad arrivare gli altri disabili ed eravamo una dozzina, con relativi amici e accompagnatori, a guardarci con aria incredula ed estasiata, ed essere lì tutti insieme faceva molto crip power. Ci siamo scambiati storie dell’orrore di concerti passati, consapevoli di essere in una posizione talmente buona che da lì avremmo potuto vedere tipo le rughe della fronte del batterista e distinguere le quattro corde del basso.

E niente, il concerto è stato bellissimo.

[Maria Chiara]

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