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“Le persone disabili sono eccezionali” e altre espressioni fuorvianti

La comunicazione giornalistica sulla disabilità è spesso viziata da pregiudizi e stereotipi.

Siamo talmente circondati da una rappresentazione della disabilità inadeguata e lontana dalla realtà che a volte è difficile anche rendersene conto.

È di ieri un articolo del Fatto Quotidiano che denuncia un’infelice uscita del presidente della regione Sicilia Musumeci, secondo cui

se non ci fossero i disabili gravi, ci sarebbero più risorse per altre cose.

L’articolo, nel denunciare la gravità di questa affermazione che sa tanto di neonazismo, mette in atto una retorica che secondo me non fa bene alla community delle persone disabili.

Il mio non vuole essere un attacco indiscriminato all’articolo, ma un semplice spunto di riflessione sulla rappresentazione della disabilità. L’articolo è infatti in buona fede, ma nel difendere la giustezza del supportare le persone disabili con interventi di assistenza, cade in un linguaggio fuorviante.

Cito dall’articolo:

Le persone con disabilità non sono un peso ma anzi arricchiscono chi li conosce, mostrano una serie di aspetti di vita eccezionali. Sono esseri umani straordinari, molte volte persino spiccatamente autoironici.

E ancora:

le potenzialità e l’arricchimento in termini di valori umani che può regalare una persona con disabilità.

Definire le persone disabili come “straordinarie” mi suona estremamente fastidioso. Affermare che chi è disabile arricchisce le altre persone in termini di valori ha un effetto ghettizzante, perché le persone in oggetto sono rappresentate come “altro” da noi. Un po’ come la storia dei gay che sono tutte persone sensibili, insomma.

Emerge il concetto della persona disabile come “maestro di vita”, che ha tanto da insegnare: una generalizzazione che fa più male che bene.

Non è niente di nuovo, è la solita idea della persona disabile che ha delle qualità in più rispetto agli altri, e queste presunte qualità in più sono presentate come compensazione rispetto ad una mancanza, quale si suppone sia la disabilità stessa.

Il ragionamento, chiaramente non intenzionale ma comunque presente, sembra essere questo: le persone disabili implicano dei costi, dell’utilizzo di risorse, è vero, però spesso sono anche persone eccezionali, quindi è necessario sostenerle. Una specie protetta, insomma.

C’è davvero bisogno di dipingere chi ha delle disabilità in termini esageratamente positivi per rappresentarle come “degne” di supporto da parte della società?

Non è sufficiente la loro semplice umanità? Devono avere delle qualità in più rispetto alla gente comune, in modo da guadagnarsi la benevolenza e la simpatia altrui?

La domanda è retorica, perché sappiamo che spesso purtroppo è così: l’aspettativa della società verso le persone disabili tendenzialmente è quella che siano accomodanti, positivi, e preferibilmente simpatici e con qualità eccezionali, in modo da far superare alla gente il “trauma” del vederli disabili. Chi non ha queste qualità, non a caso, è spesso additato come il “disabile acido”.

In quanto persona disabile, voglio avere il diritto di essere non autoironica, mediocre, di non arricchire le vite dei non disabili, di essere anche un po’ antipatica, va’, e di pretendere comunque i miei diritti.

[Maria Chiara]

EDIT: le due frasi riportate tra virgolette sono state dette dalla madre di una persona disabile.

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