witty wheels banner color ferro

Le rampe mobili implicano dover chiedere il permesso

Parliamo di rampe mobili nei locali per chi usa le carrozzine elettriche o comunque non riesce a fare scalini.

Dovrebbero funzionare così: tu schiacci il pulsante apposito e esce un impiegato che ti sistema la rampa. Silenzio imbarazzato per chi non ha pensato che c’è chi non può alzare le braccia e schiacciare il pulsante, ma dettagli. Non è questo il punto. Vabbè, entri, ti fai i cacchi tuoi nel locale e poi, quando è ora di uscire, richiami il tipo che ti rimette la rampa.

Per me, messa così è peggio che se la rampa non ci fosse.

Non sei più un cittadino invisibile: ora il tuo status è passato ufficialmente a “cittadino di serie B”. Le rampe mobili sono una soluzione che avalla l’idea (già parecchio diffusa) che il tempo delle persone disabili abbia meno valore. È un metodo che ci tiene zitti e buoni perché finalmente possiamo entrare: ma al prezzo di essere dipendenti, di dover chiedere il permesso in uno spazio pubblico. Ci viene chiesto, in pratica, di accettare cose che per le persone non disabili non sarebbero concepibili.

E personalmente, a queste condizioni, preferisco non entrare per niente. E parlo da una che vive in una città dove la stragrande maggioranza dei locali, dei bar e dei ristoranti non sono accessibili alle persone in carrozzina elettrica.

Certo, se magari abiti in una città dove un momento prima potevi andare solo in quell’unico bar, in quell’unica discoteca, in quegli unici due negozi e a un certo punto un po’ di locali mettono la rampa removibile, tiri il fiato per un attimo. Hai un po’ di ossigeno da respirare.

Hai finalmente accesso a una parte di città che prima ti era preclusa.

Ma è un accesso condizionato. Un accesso per cui devi chiedere il permesso e aspettare. E alla lunga, secondo me, il peso psicologico diventa tanto. Chiedere il permesso, perché di questo si tratta, ha un prezzo sul mio benessere che non mi posso permettere.

La sfida tra il non esistere agli occhi di commercianti/gestori di locali/società e l’aspettare che qualcuno ti permetta di entrare fa schifo in ogni caso. Ma se proprio proprio devo scegliere, preferisco la prima, essere invisibile. Perché è un attimo abituarmi alle soluzioni di serie B, e non voglio abituarmici. Viviamo già in un mondo che per le persone disabili è fatto di soluzioni di serie B (trasporto pubblico utilizzabile solo se prenotiamo prima, barriere nel votare): non ne voglio altre.

Specialmente non ne voglio altre se vengono proposte come il non plus ultra del progresso, un baluardo di “sensibilità” (si sente dire spesso questa parola quando si parla di disabilità, ormai mi esce dalle orecchie…).

Non sono una stronza senza cuore (credo) e mi preoccupo per gli adolescenti in carrozzina che cominciano a uscire (sempre che abbiano l’assistenza eh) e andare per locali: è più probabile che giustamente a loro vada bene qualunque cosa, mobile o fissa. Se i gestori sono più facilmente persuasi a mettere le rampe mobili, ben vengano le rampe mobili, perché il diritto di divertirsi degli adolescenti viene prima di tutto. Io intanto continuerò a combattere per quelle fisse, perché quando si tratta di diritti, contrattare – per me personalmente – è umiliante e fuori questione.

Non voglio assolutamente mettere in dubbio le priorità di attivismo di ognuno di noi, ma forse se cominciassimo tutti a dire che sono necessarie le pedane fisse il messaggio passerebbe più in fretta.

Spesso sento dire che le pedane mobili sono pur sempre “un inizio”, ma perché dovrebbe essere questo l’inizio e non la rampa fissa?

Più che un inizio, alla meglio mi sembra un contentino ipocrita e caritatevole, alla peggio una dichiarazione di subalternità (nostra ovviamente).

Nel grande schema delle cose, controproducente. Voglio tutto ciò che mi spetta, fine della storia.

[Elena]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Archivi
Categorie