la scritta "abilismo" sotto un triangolo che contiene, dalla base verso la punta, le parole: indifferenza; minimizzazione dell'abilismo; battute abiliste; disabilità = tragedia; paternalismo; molestie; esclusione; negligenza; segregazione; eugenetica; violenza; crimini di odio; genocidio

La piramide dell’abilismo

Sento abbastanza spesso – quando si parla di discriminazione verso le persone disabili – che non si tratterebbe di vera discriminazione, tuttalpiù di “ignoranza”. “Eh, la disabilità fa paura, è normale essere timorosi”; “Sta alla persona disabile rompere il ghiaccio e dimostrare che è una Persona come tutte le altre” (mmm, scusa, da quando era in dubbio che fossi una persona? Me lo so’ persa); e ancora, “Si è presentato a tutti saltando te perché non sa”; “Si è rivolto al tuo accompagnatore perché non conosce la situazione”.

È una cosa che mi fa sempre andare in tilt il cervello. Non sa COSA, esattamente?

C’è la tendenza a giustificare comportamenti abilisti con la scusa che la disabilità sarebbe un’esperienza, boh, troppo fuori dalla norma. Insomma, come se non valessero le regole del vivere civile.

Il fatto è che nasciamo e cresciamo in uno specifico contesto, in una cultura eteronormativa, razzista, transfobica, sessista, abilista e in generale basata su gerarchie di potere che avvantaggiano alcuni e impattano negativamente altri. Ci cresciamo dentro, quindi è molto facile che – in una certa misura – la impariamo.

Il pregiudizio è qualcosa di molto concreto, è proprio una interiorizzazione di concetti attivamente sbagliati e tossici: non è semplicemente una mancanza di conoscenza, magari! Dire che “la gente fa certe cose per ignoranza” è rassicurante perché per risolvere si tratterebbe solo di lacune da colmare, e non di concetti da riconoscere, decostruire e affrontare.

Io ero un po’ omofoba da piccola. Mi fa veramente brutto scriverlo e mi dispiace. Non credo fosse un’omofobia attiva. Ma un certo modo di pensare? Un non dire niente di fronte a cose omofobe? Eccome.

Sono cresciuta a Senigallia, una realtà dove le persone gay venivano – e vengono – viste come “strane”, diverse dalla “norma”; dove a volte i genitori preferirebbero che non si sappia che loro figlio è gay. La mia esperienza di vita era limitata: non conoscevo – che io sappia, ma ovviamente le conoscevo – persone gay o trans. Alle superiori un prof cercava grottescamente di spiegarci che l’omosessualità è sbagliata sulla base dei significati della parola “uomo” e “donna” nella Bibbia (ve la risparmio per non provocarvi il vomito), un’altra prof usò “froc*o” in modo derisorio. Io non sapevo cosa dire; ora mi chiedo come si siano sentite eventuali persone gay in classe e mi sento male.

Il fatto che non mettevo apertamente in discussione queste cose è comprensibile fino a un certo punto dato il contesto sociale e, boh, l’età. Ma solo fino a un certo punto. E non è in alcun modo giustificabile. Perché ogni forma di discriminazione – apatia e minimizzazione comprese – è una forma di disprezzo, di odio. È pensare che un’altra persona abbia “meno” di te, sia “meno” di te.

Il fatto è che considerare tue pari le altre persone non è un optional. L’odio non è mai giustificabile. Ed è odio perché la discriminazione è fatta in un crescendo. Ci sono le manifestazioni più leggere e quelle più gravi, e se non eliminiamo quelle alla base la piramide cresce e arriva alla vetta.

Tornando all’abilismo: c’è poca esposizione alle persone disabili (sì, proprio quel collega disabile che potresti avere ma che non hai perché la persona disabile qualificata quanto te non ha l’assistenza per venire al lavoro). Quindi magari attui comportamenti discriminatori seguendo quello che hai imparato di tossico dalle narrazioni mainstream della disabilità, senza essere un minimo critico. È comprensibile che applichi quello che ti è stato insegnato, ma solo fino a un certo punto, e soprattutto solo se hai sempre vissuto sotto una roccia o non hai raggiunto la maturità.

In tutto ciò, ci sono persone che non attuano mai comportamenti abilisti (o discriminatori in genere). Gente probabilmente più critica e meno influenzabile, che per fortuna c’è, con gran sollievo della mia sanità mentale. I comportamenti discriminatori non dovrebbero essere “ciò che ci si aspetta”, la normalità.

In foto, la piramide dell’abilismo.

[Elena]

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