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Gite scolastiche e discriminazioni

Una bambina disabile in carrozzina di Ardea non è andata in gita. Stando alle notizie, all’autobus con la rampa è stato ritirato il libretto, non è stato trovato un altro autobus accessibile e la bambina è rimasta a scuola. La madre ha denunciato la cosa facendo una diretta Facebook.

Sono incavolata. Molto.

Ho letto le “giustificazioni” della scuola e mi sembrano inconsistenti. So che trovare un altro pullman accessibile all’ultimo momento è molto difficile, quindi secondo me la gita andava rimandata, non c’erano alternative.

Esaminiamo le parole del preside a commento della questione.

“Quella che in queste ore sta circolando è l’immagine distorta della nostra scuola, tacciata come discriminatoria e non inclusiva, quando non è affatto così. Il nostro Istituto si trova in un quartiere molto difficile e siamo abituati a trattare certe situazioni con la massima delicatezza e il massimo rispetto.”

Secondo la mia esperienza, quando si inizia dicendo che la disabilità è una situazione da trattare con “delicatezza” e “rispetto”, c’è spesso una certa malafede, e un’attitudine a vedere la disabilità come “disagio sociale”.

Dopotutto si tratta solo del diritto di una bambina a stare con i suoi compagni, ad avere lo stesso trattamento e a vivere le stesse esperienze. Perché sembra che sia necessario trattare la disabilità con i guanti?

Il preside continua:

“Ci sono impegni, accordi e regole che se non vengono rispettate portano a sanzioni e provvedimenti importanti. La gita riguardava la visita alla tenuta presidenziale di Castel Porziano a Roma: capirà bene che un simile incontro, fissato con largo anticipo e per giunta con degli accorgimenti non da poco legati alla sicurezza, non può essere annullato nel giro di ventiquattro ore. Per questo ci siamo dimostrati disponibili da subito…”

È difficile credere che qualcosa non si possa spostare. Il fatto che una studentessa disabile non possa partecipare al pari dei compagni non è un motivo sufficiente a rimandare? Non è una causa di forza maggiore?

Ma passiamo alla parte più incredibile, quella in cui vengono proposte le “alternative” per permettere alla bambina di partecipare alla gita:

“…proponendo alla mamma della ragazzina alcune alternative come, ad esempio, quella di trasportarla seduta, nella massima sicurezza, sul sedile dell’autobus, legandola con le apposite cinture e mettendole accanto due insegnanti per proteggerla; la vicaria dell’istituto si sarebbe presa la responsabilità di trasportarla personalmente alla tenuta; infine, avremmo permesso alla madre di partecipare alla gita per accompagnarla lei stessa se quest’opzione fosse stata preferita… Ma niente, la famiglia non ha voluto sentire ragioni e si è opposta fin da subito.”

Ok, ricapitolando.

Alternativa numero 1

Togliere la bambina dalla sua carrozzina, trasportarla in braccio sull’autobus, farla sedere su un sedile (legandola con “le apposite cinture”, mi raccomando, cosa fondamentalissima da dire) con due maestre a fianco.

Molte persone disabili possono stare solo sulla loro carrozzina, e stare in un sedile diverso può comportare scomodità, dolore, fatica a respirare o pericolo di danni fisici.

Essere trasportati in braccio, se costretti, è una rinuncia dell’autodeterminazione del proprio corpo: è ingiusto dover scendere a compromessi sulla propria indipendenza e comodità a causa della mancanza di accessibilità.

Per non parlare del fatto che stare seduti vicino agli insegnanti per un bambino è un modo molto triste per viaggiare.

Alternativa numero 2

Trasporto separato.

Tutti sanno che il momento clou della gita è il viaggio in autobus.

Mi dispiace deludere i dirigenti scolastici e gli insegnanti che sicuramente si impegnano per trovare le mete delle uscite d’istruzione, ma onestamente alle elementari della meta non mi importava molto, e mi piaceva andare in gita per motivi molto meno “culturali”.

Ogni momento della gita è prezioso: dovrebbe essere lo stesso per tutti i bambini. È inaccettabile che ai bambini vengano tolte opportunità di socializzazione.

Le persone disabili hanno continuamente ingressi separati, posti separati, trasporto separato, trattamento separato: una segregazione continua e sistematica. Almeno la scuola dovrebbe essere esempio virtuoso per come organizzare la società, nonché un ambiente dove un bambino si senta protetto e al sicuro.

E poi arriva l’Alternativa numero 3

Quella di far venire la madre.

“…avremmo permesso alla madre di partecipare alla gita per accompagnarla lei stessa”: è posta addirittura come una concessione.

Perché notoriamente i genitori delle persone disabili non fanno un cazzo dalla mattina alla sera a parte seguire i loro figli come segugi affezionati, pronti a risolvere tutti i problemi che si presentano.

Ditemi. Come. Questa cosa. Sembra accettabile.

È accettabile solo perché la bambina è disabile. C’è un doppio standard nel trattamento dei bambini disabili e non disabili.

Quello della madre della bambina viene definito uno sfogo di rabbia impulsivo, ma quando sei di fronte a un’ingiustizia non sai cosa fare. Quando vedi che tua figlia deve scegliere tra stare scomoda, accontentarsi di un’esperienza peggiore o stare a scuola, non sai cosa fare. E, ci metterei la mano sul fuoco, questo non sarà stato il primo episodio di discriminazione. Applaudo questa madre per aver avuto la freddezza e la lungimiranza di tirare fuori il cellulare e documentare la cosa.

La “violazione della privacy” causata dalla diretta Facebook – su cui ci sono state polemiche – mi sembra davvero il male minore.

Ancora il preside:

C’è stata una vera e propria violazione della privacy da parte dei genitori della bambina. In quel video si vedono chiaramente dei minori e altri adulti senza, ovviamente, aver dato il consenso alla pubblicazione. Si tratta di una diffusione illecita di dati e di un uso improprio delle immagini, con tanto di diffamazione verso la scuola. Lo stesso comitato dei genitori si è sentito colpito da questo gesto che ha fatto passare le altre famiglie come insensibili, solamente perché non è stato possibile annullare o posticipare l’uscita (quando, come già detto, non sarebbe stato necessario avendo offerto delle soluzioni anche se non quella sperata di avere un altro autobus con pedana).”

Purtroppo non ho fatto in tempo a vedere la diretta, perché ora è stata rimossa, ma onestamente mi puzza un po’ che il comitato dei genitori si sia “sentito colpito da questo gesto che ha fatto passare le altre famiglie come insensibili”: la reazione dovrebbe essere prima di tutto quella di empatizzare con la bambina che non ha potuto partecipare, non sentirsi colpiti.

Se vuoi veramente aiutare qualcuno non ti concentri su di te, ma su di lui.

La parte lesa qui è inequivocabilmente la bambina, è lei che ne sopporterà le conseguenze, è lei che ha subìto un’esclusione. Non la scuola, non gli altri bambini.

Capiremo in privato di chi sono certe responsabilità e se si sarebbe potuto fare di più. Questo è un forte momento di imbarazzo per noi, abbiamo subito una grave diffamazione a fronte del duro lavoro che compiamo ogni giorno per includere tutti, nel massimo del rispetto, offrendo una formazione migliore possibile. Non ci stiamo: saranno probabilmente presi dei provvedimenti verso chiunque abbia contribuito alla diffusione di questa immagine distorta.

Il fatto è che ormai non importa molto di chi sia stata la responsabilità. Importa capire come evitare danni simili in futuro, importa gestire le ripercussioni.

Importa cosa hanno imparato gli altri bambini: e quello che hanno imparato questa volta è che la compagna disabile si può anche lasciare indietro. Non è una cosa molto educativa, e non vale una gita.

La pedana con l’autobus è l’unica soluzione possibile, fattibile, giusta. E in questo caso, visto che non era disponibile un autobus accessibile alternativo, la cosa giusta da fare sarebbe stata rimandare la gita.

Le altre sono semplicemente opzioni inadeguate, perché qualunque tipo di segregazione è più che inadeguata.

Se uno studente deve rinunciare a qualcosa di basilare pur di partecipare, non è vera inclusione.

Se proponi un’esperienza di serie b, vuol dire che pensi che anche lo studente sia di serie b. Non si esaurisce tutto nel binomio “ha partecipato o non ha partecipato”: conta anche il “come” ha partecipato, e molto.

Il preside non rinuncia a dire questa perla finale:

Ci sono un sacco di realtà meritevoli, come il fatto che molti dei nostri alunni stiano partecipando ai campionati nazionali della matematica: questo però non viene raccontato, perché non fa notizia, e si tende sempre ad amplificare ciò che crea scompiglio. È troppo facile così. Visto il contesto difficile nel quale ci troviamo, credo che accendere i riflettori sul bello e sul buono che c’è faccia bene a tutti, ragazzi in primis.”

Citare le olimpiadi di matematica in questo contesto è ridicolo. Non c’entra nulla, e riecheggia una cultura elitaria, che niente ha a che fare con l’educazione civica.

A me sembra un po’ come dire: “Ok, qui da noi è successa un’ingiustizia, però siamo acculturati”.

[Elena]

2 commenti

  1. Se come afferma il Preside "l'incontro è stato fissato con largo anticipo" con altrettanto largo anticipo non si poteva controllare il buon funzionamento della rampa? Ed eventualmente cercare altro autobus?
    Ci dica il signor Preside a quali "sanzioni e provvedimenti importanti" andava incontro la scuola qualora avesse annullato o rimandato la gita tanto istruttiva!

  2. Il problema a quanto pare era il libretto dell'autobus, ritirato poco tempo prima; e in poco tempo è difficile trovare un altro autobus accessibile, visto che sono pochissimi.
    Questo non giustifica lasciare indietro un'alunna, ovviamente. Anzi, oltre che ingiusto è pure diseducativo per tutti gli altri bambini!

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