Usare una carrozzina significa che quando sono in un gruppo nuovo è abbastanza evidente uno “sguardo” di un certo tipo da parte di alcune persone.
Lo sguardo di chi ti percepisce come “altro”, di chi si approccia a una persona disabile con una sorta di cautela, con minore spontaneità di quella che riserva a chi non ha disabilità visibili. È l’atteggiamento di chi tende a pensare che ogni singola cosa nella tua vita ruoti intorno alla disabilità, o di chi ti chiede continuamente se – visto che usi una carrozzina – riesci o no a fare una cosa o l’altra. Ovviamente non sto assolutamente dicendo che ignorare la disabilità di un’altra persona è un comportamento da attuare, anzi, è quasi sempre una manifestazione di abilismo. Sto parlando di quando si vede bene che per certe persone tu sei innanzitutto la tizia in carrozzina, e questo a volte rimane anche dopo mesi o anni di conoscenza.
Ho vissuto in Inghilterra per un periodo e lì invece il mio “essere disabile” lo percepivo molto poco (certo, al netto delle barriere architettoniche che incontravo). Lì non ho trovato che pochissimi stereotipi abilisti dalla gente che ho conosciuto, e zero paranoie sul fatto che sono disabile.
Invece, per alcune persone io ero chiaramente “quella italiana”. Era come se la mia identità di italiana fosse sovrastante rispetto a quella di persona disabile.
Come dice spesso chi trascorre un periodo all’estero, ho “scoperto” di essere italiana proprio una volta fuori dal mio paese, e questo anche a causa dei continui riferimenti di alcuni al fatto che sono italiana.
Nei discorsi di amici, colleghi e conoscenti mi veniva ricordata spesso la mia nazionalità, in un misto di fascinazione, curiosità ingenua e stereotipi: Ma è vero che voi mangiate sempre primo, secondo, contorno e dolce ad ogni pasto? Ma come fate a non scoppiare? Eh, ma voi avete sempre il sole. Ah, ma che bella l’Italia! Eh, voi italiani siete sempre a fare festa, beati voi. Ma perché vi vestite sempre così eleganti e alla moda?
Per non parlare ovviamente delle battute su Berlusconi, spesso spunto di prese in giro scherzose della serie, dai su, voi italiani avete avuto Berlusconi, non siete credibili.
Insomma, ho trovato in alcuni, soprattutto all’inizio della conoscenza, un riferimento costante al mio essere italiana, di volta in volta ironico o curioso, che in un paio di occasioni ho trovato perfino eccessivo. È una cosa che mi ha stupito molto, insieme all’assenza o quasi di stereotipi abilisti. E quest’ultima non era cancellazione del fatto che fossi disabile, perché poi erano tutti molto premurosi nell’aiutarmi, ma normalizzazione.
Sarà che gli inglesi in generale mi sono sembrati più civili come società (proprio nel senso di civilizzati e evoluti culturalmente) e che in Inghilterra c’è effettivamente più partecipazione delle persone disabili nella società, ma lì ero molto più “la ragazza italiana” che “la ragazza disabile”.
Non so bene qual è il punto di questo post. Sicuramente è bello ricordarsi che in determinati contesti l’abilismo non è così pervasivo e si può per un attimo riprendere fiato.
[Maria Chiara]