La disabilità e gli ambienti femministi italiani: a che punto siamo?

I movimenti femministi in Italia devono ancora prendere coscienza politica della disabilità. Spesso manca un’elaborazione della disabilità come qualcosa di più di un problema di salute che accade in un vuoto. La disabilità è vista come evento eccezionale che capita ai singoli, disconnessa dai sistemi sociali e politici. È ancora vista, in pratica, come un problema individuale, e in varie realtà l’idea che sia una tragedia è ancora ben presente.

L’interesse a contrastare l’abilismo e a conoscerlo in profondità lo troviamo solo qua e là, spesso dove ci sono persone che nel vissuto personale hanno sperimentato la disabilità o la malattia e quindi si sforzano specificamente di portare l’argomento in realtà altrimenti digiune.
Ma in generale, nei movimenti femministi e di giustizia sociale, le persone disabili sono escluse, oppure considerate a livello estremamente superficiale. L’oppressione abilista non viene pressoché considerata nei discorsi politici, in quell’idea di lotta comune che viene portata avanti.

Le persone disabili non vengono considerate una categoria oppressa. Se anche la realtà in questione si definisce antiabilista, la pratica ne è di solito ben lontana.

Quando si descrivono le condizioni delle donne che non hanno alternative all’assistere i propri familiari disabili, non ci si pensa due volte a descrivere questi ultimi come pesi, ostacoli alla realizzazione personale. Il prezzo per ottenere un’argomentazione semplice ed efficace è la deumanizzazione delle persone disabili, e spesso non ci si pone proprio il problema.

Quando si protesta contro le istituzioni totali tipo il carcere non si fa mai il collegamento con le strutture dove le persone disabili sono segregate, tanto sono normalizzate.

In riferimento alle persone disabili si parla di corpi non conformi e spesso non si va oltre la questione estetica, come se l’abilismo fosse una questione estetica e non, essenzialmente, un sistema normativo delle abilità e dei funzionamenti mentali, fisici e sensoriali. Non si ha chiaro che le persone disabili sono considerate devianti innanzitutto per il modo in cui funzionano, oltre che per come appaiono.

Nei discorsi sulla classe e il classismo non si ragiona abbastanza sul fatto che la disabilità è una delle maggiori cause di impoverimento. Dalle realtà femministe non sento mai trattare come emergenza sociale il fatto che chi non è autosufficiente non ha i fondi necessari per assumere assistenti.

Nelle lotte per i diritti dei lavoratori in cui si denuncia lo sfruttamento vedo spesso equiparare, nella denuncia verso chi paga poco i dipendenti, l’azienda con altissimo fatturato all’uomo non autosufficiente che probabilmente vive in semi-povertà e assume personale non per fare profitto ma per vivere, e non può permettersi di pagare più che il salario minimo se vuole uscire dal letto e lavarsi.
Non vedo il fronte comune tra chi lotta per aumentare il salario minimo nei lavori di cura e le lotte, sfiancate dai sacrifici, dalle poche risorse e dalla mancanza di appoggi nelle istituzioni, delle persone disabili per aumentare i fondi per l’assistenza.

Del resto è ancora considerato normale che se un evento femminista non è accessibile, mannaggia, una persona disabile faccia a meno di partecipare, per questa volta.

[M. Chiara]

Descrizione immagine: mezzobusto di M. Chiara in una stanza, con i capelli neri lisci e un maglione fucsia. (Foto di Ornello Guiducci)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Archivi
Categorie