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Le cose strane che mi manda la mia vecchia università

Le cose strane che mi manda la mia vecchia università e la mia smania irrefrenabile di rispondere:

Sondaggio sull’orientamento al lavoro rivolto agli studenti con disabilità:

https://it.surveymonkey.com/r/GKYJ8WR

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Salve, ho compilato il questionario online, ho alcune osservazioni.

Le domande sono perlopiù legate alla considerazione di sé, alla sicurezza di sé, insomma in generale all’autostima, e questo mi lascia perplessa: mi chiedo che scopo abbia il focalizzarsi sull’autostima in un questionario legato all’occupazione dei disabili.

Poi ci sono un gruppo di domande, o meglio, frasi con cui concordare o dissentire, che rimandano ad un’idea di esclusione sociale:

  1. “Spesso mi sento lasciato fuori”
  2. “Molte persone hanno una scarsa opinione di me”
  3. “Sento che la maggior parte della gente mi rispetta”

Non essendoci uno spazio per i commenti, ed essendo il questionario concepito con domande a risposta multipla, è impossibile spiegare le risposte che si danno. In questo caso specifico vorrei osservare che si tratta di domande complesse le cui risposte non sono esauribili in un assolutamente vero/ vero/ falso/ assolutamente falso.

Infatti, viviamo ancora in una società non inclusiva e in cui le persone disabili spesso si vedono lesi i diritti umani.

Personalmente, ho risposto a queste domande che non mi sento particolarmente esclusa, e vengo generalmente rispettata.

A voler essere realisti, però, le risposte che molti disabili italiani potrebbero dare a queste domande sarebbero le seguenti:

  1. Spesso mi sento lasciato fuori”: sì, spesso, perché viviamo in un paese che non considera l’accessibilità come una priorità e dove vivere gli spazi pubblici liberamente è ancora negato a una categoria di persone.
  2. Molte persone hanno una scarsa opinione di me”: purtroppo la cultura di cui facciamo esperienza è pervasa da pregiudizi sui disabili, portati avanti dai media, da un sentire comune, da cause storiche e culturali. Certo, un sacco di persone sono civili e inclusive, ma molte altre persone (e le politiche sociali, e il discorso pubblico) hanno una scarsa opinione di me come donna in carrozzina. I disabili sono spesso sottovalutati, esclusi, non considerati degni di alcuni diritti basilari.
  3. Sento che la maggior parte della gente mi rispetta”: anche qui vale lo stesso discorso; c’è un’esclusione sociale a livello sistemico (lavoro, scuola, fruibilità degli spazi pubblici, possibilità di vivere dignitosamente) e tanta ignoranza sulle persone disabili, quindi forse non si può affermare con tranquillità che la “maggior parte” della gente mi rispetta.

Quello che cerco di dire è che la risposta a queste domande, inserite nella più ampia categoria dell’autostima, non può non tener conto dell’oppressione sistematica che vivono i disabili nel nostro paese.

Insomma, l’autostima può anche non andare di pari passo con delle risposte affermative a queste domande sull’essere esclusi. Io posso avere un’autostima molto alta e allo stesso tempo sentire che molte persone hanno una scarsa opinione di me, prima di conoscermi, a causa dei pregiudizi. Sono cose che non si autoescludono, ed è una contraddizione vissuta da molti disabili.

Lo stesso discorso vale per quanto riguarda la frase “La mia vita è instabile“. In generale se si intende dal punto di vista psicologico, un disabile in carrozzina non autosufficiente (come me) può affermare che la sua vita non è instabile. Invece da un altro punto di vista, se si considera che la situazione dei diritti dei disabili in Italia è tragica, si può affermare altrettanto tranquillamente che la sua vita è instabile. Per fare un esempio con la mia situazione personale, io ho bisogno di assistenti che mi aiutino tutti i giorni, però i finanziamenti che mi vengono erogati per poter assumere degli assistenti non sono lontanamente sufficienti a coprire le mie spese. Vivo in un paese dove gli scarsi fondi per la non autosufficienza vengono spesi più per istituti segreganti come il cohousing o le RSA, oppure per cooperative sociali che erogano assistenza, che come contributi diretti ai disabili. Mi muovo in città che non sono state adeguate perché io possa viverle pienamente con una carrozzina elettrica; dove aprono continuamente nuovi locali che non sono fruibili da molti disabili; dove il pregiudizio fa si che mi vengano negate delle opportunità. È quindi anche difficile definire stabile una vita dove per avere opportunità devo ingegnarmi e per ottenere dei diritti ho bisogno di sforzarmi continuamente.

Poi ho qualche osservazione su alcune altre frasi che secondo me non sono molto inclusive, nel senso che non tengono conto delle varie disabilità di chi compila il questionario.

Riesco a scrivere meglio della maggior parte delle persone della mia età“, “Leggo bene quanto la maggior parte delle persone della mia età” e “Non capisco molto quel che leggo” non sembrano tenere conto di dislessia o disturbi dell’apprendimento. Non si capisce bene, quindi, perché le abilità di lettura e scrittura vengano elencate tra le abilità rilevanti per il lavoro. È noto che l’handicap di lettura e scrittura può essere superato con degli strumenti specifici.

Credo che una persona con DSA possa sentirsi un po’ alienata nel rispondere.

Tra le domande più generiche invece mi sembra poco opportuna, o comunque non adeguatamente contestualizzata, “Riesco bene nella maggior parte degli sport“. Dato che uso una carrozzina elettrica, mi è venuto da sorridere perché la mia situazione non era contemplata in questa domanda (e dire che il questionario è rivolto a persone disabili!).

In questi casi credo sia meglio specificare “se hai una disabilità che permette di fare sport…eccetera“, altrimenti si rischia di provocare alienazione. Mi sfugge il motivo per cui viene toccato l’argomento dello sport, ma se lo scopo è sapere se lo studente ha una buona coordinazione, precisione nei movimenti e autodisciplina, non sono prerogativa di chi pratica “la maggior parte degli sport”. Sono necessarie, ad esempio, anche nel wheelchair hockey, giocato su carrozzine elettriche da persone con poca forza fisica. Un atleta di wheelchair hockey, però, non può dire di riuscire bene nella “maggior parte degli sport”, perché la maggior parte degli sport non riuscirà a farli per cause di forza maggiore.

Anche la frase “Mi stanco in fretta” mi pare poco opportuna. Ci sono persone con stanchezza cronica o patologie neuromuscolari di cui possiamo affermare ragionevolmente che “si stancano in fretta”. Altrettanto ragionevolmente, però, possiamo affermare che se ci sono i giusti presupposti e strumenti una persona con tali patologie può essere anche più efficiente di una persona non disabile. “Stancarsi in fretta” ha dunque poco senso, perché questo handicap può essere superato semplicemente con un po’ di organizzazione e gestione del tempo e mettendo una persona nelle giuste condizioni favorevoli.

Ancora, “Il lavoro richiede di usare frequentemente le mani (Esempi: manipolare oggetti/ attrezzi, posta elettronica, scrivere lettere/ appunti)” non tiene conto dell’esperienza di molti disabili e dimostra poca conoscenza del settore. Prendiamo il mio caso specifico: uso bene le mani per compiti che richiedono poca forza, quindi non ho problemi a scrivere. Però nella categoria è compreso anche il manipolare attrezzi, e io non riuscirei a sollevare un martello, figuriamoci usarlo. Al contrario, una persona con spasticità che non può compiere movimenti fini può essere bravissima con vari attrezzi ma avere difficoltà a scrivere con precisione. Inoltre vi ricordo che per persone che non hanno proprio l’uso delle mani l’atto delle scrivere non è assolutamente precluso, perché esistono i sintetizzatori vocali e altri strumenti del genere.

Queste altre due sono abbastanza inspiegabili:

  1. Mi sento a posto indipendentemente dal modo in cui mi vesto“: c’è davvero chi si sente a posto qualunque cosa indossi? Si intende andare scalzi per strada oppure portare vestiti troppo larghi? Qui non si tratta di autostima, ma di vivere in una società come esseri socializzati, influenzati dalle mode, dalla cultura, dal senso estetico personale.
  2. Sto bene di salute“: il gruppo intervistato è composto da persone disabili, dunque c’è un’alta probabilità che qualcuno di loro abbia una patologia cronica. Io ce l’ho, ma in generale sto bene di salute. Ma se anche avessi una patologia acuta, mi sfugge a che cosa serva saperlo ai fini del questionario.

Continuando con le domande relative alla famiglia, “I miei familiari mi amano così come sono” ha in sé un gusto di retorica dolciastra. Se il senso di “così come sono” è “con tutto il pacchetto della mia disabilità, tragedia inenarrabile e deprecabile, ma loro mi amano uguale”, vi informo che state portando avanti un pregiudizio. Dare per scontato che la disabilità sia “brutta e cattiva”, qualcosa da dover superare per poterci amare, qualcosa “nonostante” cui i non disabili ci amano, è alla base di molte discriminazioni, non ultime quelle nelle politiche sociali (se siamo considerati “altri”, “diversi”, come potremo far capire che uno scalino all’ingresso di un negozio non è civile?)

Inoltre il focalizzarsi sul commentare il proprio aspetto fisico mi sembra quasi morboso: “Ho bei denti“, “Sono attraente“, “Ho una bella figura“. Ma se il questionario fosse rivolto a giovani senza disabilità sembrerebbe normale chiedere queste cose?

Posso pure capire le domande sull’autostima, però vi faccio presente che l’autostima può anche non andare di pari passo con l’essere attraente fisicamente (secondo i canoni della nostra società, in ogni caso). Conosco tante persone non convenzionalmente belle, anzi giudicate brutte secondo gli standard, che hanno una grande autostima, quindi mi sembrano domande un po’ superficiali.

Un’altra frase presente nel questionario, “Mi piace il mio aspetto“, è già una cosa diversa, perché non chiama in gioco dei canoni standard ma semplicemente l’individuo singolo e il suo piacersi quando si guarda allo specchio (cosa che, va ricordato, può anche andare contro i canoni estetici della società)

Sono fisicamente prestante” mi ha fatto pensare. Prestante significa non solo “di bell’aspetto” ma anche “vigoroso”. Se uno si ritiene di bell’aspetto ma non riesce a sollevare neanche un braccio sopra la testa cosa deve mettere come risposta?

Anche “Non mi piace essere visto in costume da bagno” mi sembra una domanda che lascia il tempo che trova. Non credo che stare bene in costume da bagno sia molto indicativo della propria autostima e sicurezza di sé. Qui entrano in gioco anche fattori esterni: il giudizio della società è ancora pervasivo, soprattutto sui corpi delle donne. Pensiamo ad una persona molto grassa: magari è la persona più sicura di sé di questo mondo, il suo corpo è adorato dal suo partner, e non ha problemi a mostrarsi in costume con gli amici, ma se va in spiaggia viene criticata o fissata perché non rientra nel corpo “tipico”. È la società ad avere un problema, non la persona grassa.

Dopo queste premesse, “Il mio peso è proprio quello giusto” non ha proprio senso di esistere. Esiste un peso giusto??

Chi ha scritto il questionario ha un gran bisogno di informarsi sui disability studies. Almeno prima di poter scrivere su certi argomenti.

Le domande non tengono conto delle dinamiche di oppressione, dei pregiudizi e degli stereotipi, riducendo la disabilità alla sua dimensione privata.

Sappiamo invece che, secondo il modello sociale della disabilità (che ha sostituito il modello medico) la disabilità non nasce da una sfortuna individuale, ma dalle barriere presenti nella società.

Non mi sembra un questionario particolarmente focalizzato sui propri punti di forza, conoscenze e competenze, dato che la maggior parte delle sezioni non riguardano l’orientamento al lavoro.

Sarebbe stato utile magari dare più spazio agli studi e alle esperienze lavorative, perché per come è congegnato sembrerebbe più un sondaggio per capire se gli studenti disabili hanno autostima (??) o per capire quanto la loro disabilità incide su un possibile lavoro, senza però avere i giusti presupposti per parlarne in modo informato.

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[Maria Chiara]

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