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L’assistente che non assisteva

Quando ero al liceo, di solito la mia assistente di ruolo, quella “fissa”, non poteva partecipare alle gite che duravano più di un giorno. Quindi ho spesso avuto assistenti diverse mandate da una cooperativa, conosciute solo pochi giorni prima della partenza e un paio di volte addirittura il giorno stesso.

Ero ingenua e avventata, e non solo non mi prendevo del tempo per conoscere l’assistente, ma mi affidavo alla nuova arrivata senza fare un training decente per insegnarle le manovre necessarie prima della gita e ottimizzare il tutto.

Ora che sono molto più consapevole del fatto che l’assistente è la persona a cui mi affido nei momenti più vulnerabili, ho perfezionato un processo di selezione che neanche la Direzione Human Resources di un’azienda della Silicon Valley.

Adesso, prima di una gita di più giorni, come minimo sottoporrei la futura assistente ad un questionario motivazionale, un colloquio con test attitudinali che testano (o almeno ci provano) professionalità, senso etico ed equilibrio mentale, poi la incontrerei per fare più volte le prove di spostamento della carrozzina e soprattutto di come vestirmi in tempi decenti. E le farei leggere attentamente una lista di regole da rispettare.

Ma allora, ahimè, non facevo nulla di tutto questo: presa dall’entusiasmo per la gita, ancora a diciotto anni non avevo evidentemente sviluppato l’istinto di autoconservazione e mi affidavo alle sconosciute con placido ottimismo. Era tanto se ci incontravamo a casa mia, la ragazza provava a spostarmi una volta dalla carrozzina, ed eravamo pronte a fare le valigie. Ah, come se non bastasse, poi, per qualche ragione misteriosa, le assistenti proposte nelle varie gite mi stavano anche tutte simpatiche.

Chiaramente non avevo assolutamente idea di quello che stessi facendo.

Seguendo il “metodo del Non Fare Nulla” sopra descritto, in una delle ultime gite delle superiori mi sono ritrovata una vera perla: una ragazza la cui attività principale durante la gita è stata dormire. In ogni singolo spostamento in autobus, anche di mezz’ora, lei dormiva. Appena si sedeva sul sedile, ci si afflosciava e dormiva di gusto.

Questo nella fattispecie non mi creava problemi: il problema è iniziato quando ci siamo rese conto, la prima sera, che la ragazza non riusciva a sollevarmi dalla carrozzina senza uno sforzo enorme e, da parte mia, una grande sensazione di precarietà. Il giorno della prova, a casa, ci era riuscita, anche se non mi era sembrata particolarmente forzuta: forse lo stress e i ritmi della gita le hanno dato il colpo finale.

C’era anche mio padre in quell’occasione (a volte veniva in gita per dare una mano in caso di posti inaccessibili), dunque mi sono organizzata affidandomi a lui per alcuni spostamenti. Per le volte in cui lui si addormentava prima di me – cioè prima delle ore indecenti in cui si va a dormire in gita – mi facevo aiutare da un amico a mettermi sul letto.

Ma non era finita qui: nei giorni a seguire le persone da coinvolgere come aiutanti sarebbero state altre, perché la ragazza dopo poco tempo ha cominciato a stancarsi di spingere la carrozzina. Non lo diceva esplicitamente, ma si vedeva che soffriva. Anche se avevo una carrozzina superleggera ed ero anch’io abbastanza leggera, lei sudava. Sentivo la tensione dello sforzo, soprattutto quando affrontava con difficoltà gli scalini da superare: a volte sbandava e di riflesso mi sentivo addosso la sua fatica.

A causa delle sue evidenti difficoltà, dal secondo giorno in poi non mi ha praticamente più spinto lei la carrozzina se non per tragitti brevissimi. In un crescendo graduale, altre persone del gruppo, sempre di più, l’hanno sostituita nelle sue mansioni. Ma di pari passo c’è stato anche un peggioramento della ragazza, che si trasformava sempre di più da Assistente di Chiara a Dama di Compagnia.

Mi ricordo che un pomeriggio in particolare c’era un momento di stallo, uno di quei momenti in cui tutto il gruppo si ferma perché la guida sta spiegando qualcosa.

L’assistente mi ha chiesto se poteva allontanarsi un attimo per fare delle foto, e per me non c’erano problemi (sempre perché non ero particolarmente saggia). Quando poi la guida ha detto a tutti di proseguire, dell’assistente non v’era più traccia, e si è avvicinato un prof offrendosi di spingermi. Tempo di spiegargli come sfrenare la carrozzina e fare cinque metri, e l’assistente è ricomparsa, ha ringraziato il prof (!) e si è incamminata a fianco a noi come se niente fosse. Non so se il prof fosse troppo timido ed educato per “passarmi” alla ragazza, o se abbia avuto compassione di lei, oppure di me. Del resto anche io non è che scalpitassi per tornare nelle mani dell’Assistente Assonnata, e non ho detto niente.

Comunque mi ricordo che il prof ha continuato a spingermi per una mezz’oretta e l’assistente ci scalpicciava a fianco allegramente – macchina fotografica alla mano – apparentemente sollevata di aver trovato un sostituto e guardandosi bene dal sollevare l’argomento “la Pesante Carrozzina di Chiara”.

L’ultimo giorno c’era una giornata per girare in libertà e ci siamo mossi in gruppetti senza i professori. Mentre parlavo con gli altri, the Sleeping Beauty è andata a comprare dei souvenir. L’avrei rivista solo dopo due ore, e dopo parecchie difficoltà nello spiegarle come trovare la strada per il locale che avevamo scelto per pranzare.

In pratica ho provato l’ebbrezza di andare in gita con un’assistente che era più un fardello che un aiuto.

Le ragioni per cui guardavo al suo comportamento più divertita che infastidita mi sono tutt’ora ignote.

[Maria Chiara]

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