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Non sono autosufficiente

Non sono autosufficiente, e questo significa che una volta seduta sulla carrozzina posso fare varie cose da sola, ma prima bisogna che qualcuno mi ci metta sopra, dopo avermi aiutato a vestirmi. Una volta circondata dagli oggetti che mi servono posso fare le cose che mi serve fare, ma prima bisogna che qualcuno mi circondi di quegli oggetti.

Io assumo per il momento abbastanza assistenti personali per poter fare molte delle cose che voglio. La cosa è molto precaria, perché dipendo da come gira il vento in Regione e dai tagli che decidono di fare: ogni anno è diverso dall’altro e dipendo dai sacrifici della mia famiglia.

È tutto tremendamente ingiusto, e mi sento lontana anni luce dai miei coetanei disabili di Los Angeles o di Copenaghen che non sborsano un soldo di tasca propria, hanno otto assistenti ciascuno e agenzie dirette da persone disabili che gestiscono la burocrazia per loro.

Però ho un certo controllo sulla mia vita.

Organizzo gli assistenti in turni e dispongo di una rete di persone formate nella mia cura personale, a cui posso chiedere sostituzioni e cambi sporadici.

Posso svegliarmi la mattina e decidere di fare quello che mi pare della mia giornata senza dover rendere conto a nessuno. Posso cucinarmi quello che mi va, vestirmi come mi pare e lavarmi quando voglio. Con un minimo di pianificazione posso fare un week-end fuori o una vacanza all’estero.

Sono cose scontate per la maggior parte delle persone.

Eppure non lo sono per quasi tutte le persone non autosufficienti italiane, perché il nostro Stato non ci considera abbastanza importanti da darci gli strumenti per essere liberi.

Grazie alle piattaforme di Witty Wheels e di Liberi di Fare, persone con varie disabilità scrivono spesso a me o a Elena. Ragazzi che non possono fare l’università perché non hanno assistenza, ventenni che, mentre i loro coetanei escono e fanno esperienze, hanno due ore di assistenza al giorno. Ventenni senza nessuna ora di assistenza. Persone che vivono con genitori anziani che ormai non possono fare più niente per aiutarli, e quando gli va bene possono cucinare. Persone il cui unico “assistente” è il proprio partner, che se le cose vanno male non possono lasciarlo perché in mano al partner hanno messo letteralmente la propria vita.

Persone che ricevono un budget esiguo che permette loro di avere pochissime ore di assistenza, e che ci chiedono consigli sul processo di selezione e training degli assistenti. Ma anche persone completamente chiuse in casa, persone che non mangiano in modo vario quanto dovrebbero per non pesare sui genitori, persone che non possono fare la doccia quando vorrebbero!

Sfoghi, richieste di consigli, incredulità e sgomento perché “veramente non c’è almeno una regione italiana in cui possiamo stare tranquilli?”

No, non c’è.

Sentire certe domande è straziante. Dare consigli su come gestire e quanto pagare gli assistenti con un budget limitatissimo è doloroso. Sfruttare i cosiddetti “badanti” conviventi (la scelta più “economica”) è per molti una necessità, è davvero questione di vita o di morte.

E intanto la maggior parte delle persone non disabili pensa che i problemi principali delle persone disabili siano i parcheggi occupati, le barriere architettoniche o i pregiudizi delle persone non disabili, senza avere idea di che cosa deve affrontare chi non è autosufficiente. Zoccano ha affermato che la maggior emergenza per le persone disabili è la scarsità di lavoro, come se non esistesse un’emergenza di migliaia di persone murate in casa o nelle strutture.

È fondamentale anche che molte persone non autosufficienti si scrollino di dosso questa sorta di pudore che non li fa parlare del problema dell’assistenza. Perché si fa finta che vada tutto bene? Me lo spiego solo con il fatto che molti sono talmente impegnati a dimostrare a chi non è disabile che sono “come tutti gli altri” che nella loro testa avviene una sorta di cancellazione del reale. Se si è impegnati a dimostrare che si è “vincenti” non c’è spazio per mostrare le vulnerabilità. Se ci si sforza di non passare per il disabile lamentoso (non sia mai!!) non c’è spazio per le proteste per i diritti.

E invece l’Italia è un paese che non ha ancora la civiltà di pensare ai propri cittadini non autosufficienti se non rinchiudendoli in strutture, e prima ce ne renderemo conto a livello di opinione pubblica meglio sarà per tutti.

Sentire del tempo sprecato, dei sogni infranti, delle rinunce, dei sacrifici, della rassegnazione mi logora e alimenta la mia rabbia. Gli incoraggiamenti che do alle persone mi sembrano vuoti; mi sento così impotente a poter offrire poco più che solidarietà.

L’assistenza personale è trattata come problema di serie B a tutti i livelli della politica, e ogni giorno è un altro giorno in cui non trovare risposte adeguate per chi mi scrive è una stilettata al cuore.

[Maria Chiara]

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