Ci scrivono:
Dopo aver letto tanto sull’abilismo negli ultimi mesi, ho finalmente potuto dare un nome a tante esperienze vissute in questi anni e mi sono ritrovato a ricontestualizzare un evento vissuto alle scuole medie. Ho la distrofia di Duchenne e utilizzo una sedia a rotelle dall’età di nove anni. A 12 anni mi innamorai della recitazione dopo aver rappresentato uno spettacolo teatrale insieme al mio gruppo scout. Così, l’anno successivo mi iscrissi al laboratorio teatrale organizzato dalla mia scuola, pensando che l’esperienza sarebbe stata altrettanto positiva. Dopo la visione del film e la lettura del copione, tutti gli studenti iscritti furono provinati e qualche tempo dopo furono annunciati gli attori scelti per i vari ruoli. Con mia somma delusione scoprii che avrei interpretato l’ammiraglio Boom, il cui ruolo era stato drasticamente ridotto: solo una battuta nella prima scena. Ma a deprimermi fu soprattutto il motivo della scelta: il ruolo mi era stato assegnato perché il palco non era accessibile e avrei dovuto recitare le mie battute dalla platea, come un corpo estraneo relegato ai margini. Sapevo che il teatro dove si sarebbe svolto lo spettacolo non era accessibile ed erroneamente ero convinto che la scuola avrebbe trovato un modo per permettermi di calcare le scene. Protestai, non per il ruolo ma per il modo in cui avrei dovuto interpretarlo. Era così difficile allestire una rampa di legno, come aveva fatto il mio gruppo scout l’anno precedente? La risposta fu che sarebbe stato troppo costoso. Io però non ci stavo, e così la settimana seguente disertai il laboratorio, andando a fare l’arbitro di tennis al corso del professor C., l’unico insegnante che durante quei tre anni cercò sempre di trovare un modo per farmi partecipare alle gite, arrivando spesso ad accompagnarmi in prima persona con la macchina dei miei. Non mi presentai al laboratorio teatrale e la mattina seguente una delle professoresse mi si mangiò vivo. Mi disse che quando mi ero iscritto al laboratorio teatrale avrei dovuto sapere che non sarei potuto salire sul palco e che non potevo metterla in quella posizione scomoda. Io risposi che avrei preferito abbandonare il laboratorio perché non erano quelle le intenzioni con cui mi ero iscritto. Fui fatto passare per un bambino capriccioso che non si accontentava di avere un ruolo marginale. Inviperita, la professoressa minacciò di mettermi un’insufficienza in pagella, dato che veniva messo un voto relativo alla partecipazione ai laboratori. Tenevo moltissimo a mantenere una media alta e così cedetti al ricatto, spinto anche dalla mia prof. di italiano che stimavo moltissimo (e che ora considero altrettanto colpevole, dato che quello che mi disse fu “non puoi farti mettere un’insufficienza per questa alzata di capo”, come se combattere per un diritto fosse stato un capriccio). Cedetti anche perché mi imbarazzava passare per un ragazzino che montava una polemica soltanto per aver ottenuto un ruolo insignificante. All’epoca non mi rendevo conto di tutte le implicazioni di questo gesto di abilismo istituzionale: lo vedevo soltanto come un problema che affliggeva me. I successivi mesi di prove passarono lentamente e per tutto il tempo mi sembrava di osservare le cose dall’esterno. Ogni pomeriggio trascorreva in un’apatia interrotta soltanto dalle poche battute che dovevo pronunciare. E quando arrivò il giorno dello spettacolo, decisi che non valeva la pena investire il mio impegno in qualcosa di cui non facevo parte. Quando giunse l’ora di pronunciare la mia battuta, la buttai via senza alcuna enfasi o entusiasmo con un tono monocorde. Mi avevano messo ai margini e lì sarei rimasto. E quando la compagnia salì sul palco per prendersi gli applausi, io sapevo perfettamente che non erano per me, perché non ne facevo realmente parte. Agli occhi di tutti ero “il disabile a cui era stato dato un ruolo minuscolo come contentino”. Sentivo questo giudizio nella mente di tutte le persone che avevano visto lo spettacolo. Probabilmente la colpa fu anche mia: avrei dovuto accettare quell’insufficienza e mantenere la mia integrità. Ma sono stufo di dare la colpa a me stesso.
Descrizione immagine: la scritta “Quel ruolo mi era stato assegnato perché il palco non era accessibile. Avrei dovuto recitare le mie battute dalla platea, come un corpo estraneo relegato ai margini.”e l’hashtag #StorieDiAbilismo. Grafica blu con riquadro bianco