
#StorieDiAbilismo (14)
“È inutile che ti interroghi, perché non capisci”
“È inutile che ti ascolti, perché non sei capace di suonare, proprio non puoi!”
“È inutile che ti interroghi, perché non capisci”
“È inutile che ti ascolti, perché non sei capace di suonare, proprio non puoi!”
“Quel ruolo mi era stato assegnato perché il palco non era accessibile. Avrei dovuto recitare le mie battute dalla platea, come un corpo estraneo relegato ai margini.”
“Ho fatto incubi per anni su come siano andate le cose: forse non avevo fatto abbastanza, forse davvero ero stata pigra e mi ero inventata tutto? Magari era davvero ansia come dicevano i medici?”
“È proprio negli anni della scuola che conosco il vero significato del termine abilismo, anche se riuscirò a dargli un nome solo dopo diversi anni”
“Le peggiori manifestazioni di abilismo forse le ho vissute in università da parte dei docenti. Sono stanca di educare in un luogo in cui dovrei essere io quella da educare.”
Quando ho fatto l’università triennale è stato un continuo di problemi di accessibilità assurdi.
Ogni due settimane ce n’era una.
Quando studi diritti umani, si discute di argomenti contemporanei legati alle varie identità marginalizzate e ti si scatena il demone perché non viene quasi mai considerata la disabilità.
Un giorno alle elementari ero in classe, durante la lezione. Eravamo tutti chini sui quaderni e le finestre erano aperte. C’era odore di carta, evidenziatori e matite temperate.
Sento abbastanza spesso – quando si parla di discriminazione verso le persone disabili – che non si tratterebbe di vera discriminazione, tuttalpiù di “ignoranza”.