Il virus ha creato una situazione in cui si palesano ancora di più molte disparità sociali. Tra queste, le persone disabili stanno vivendo problematiche in vari ambiti:
Persone senza assistenza
In questo periodo la cronica scarsità di assistenza personale ha un impatto devastante. Alcuni la chiamano assistenza domiciliare, o insomma assistenza uno a uno, ed è indispensabile per tantissime persone disabili.
Molti centri diurni per persone disabili ora sono chiusi, e tante persone devono rinunciare alla soddisfazione dei propri bisogni primari perché un’alternativa vera ai centri diurni non esiste. Non è mai davvero esistita. Chi ci faceva affidamento non ha più assistenza e deve affidarsi alla famiglia che non necessariamente è in grado di assisterli. Senza contare la tragedia delle strutture residenziali che sono diventate dei focolai pieni di persone disabili che vivono a stretto contatto e che stanno facendo tantissimi morti.
Tutto questo fa capire ulteriormente quanto sia problematico assemblare e segregare le persone disabili come unico modo per ricevere l’assistenza che serve loro per sopravvivere.
Le misure che sono state prese aiutano solo in parte, e aiutano solo alcuni.
Nel decreto “Cura Italia” si legge che “si può” organizzare un’assistenza specifica ad hoc in alternativa ai centri diurni. “Può”, non “deve”, quindi di fatto non c’è nulla di certo se non una vaga delega agli enti locali.
Inoltre sono stati aumentati i giorni di 104 in cui i lavoratori disabili e chi assiste persone disabili possono stare a casa dal lavoro. Quello che per molti è un beneficio nasconde però un messaggio ben preciso, e cioè che la disabilità rimane un fatto “di famiglia”, rimane un fatto privato. Come se l’assistenza fosse un obbligo della famiglia e non dello Stato. Continua a sfuggire che l’assistenza è un servizio essenziale, senza cui alcune persone disabili non sono in grado di restare in vita.
La narrazione pubblica del COVID-19
“Non preoccupatevi, il virus ha un impatto serio SOLO su persone oltre i 65 o con patologie pregresse”. (Disclaimer: che poi si è visto che non è neanche vero)
Ecco, quando parlate così del Coronavirus ricordatevi che gli anziani e in generale le persone “ad alto rischio” in caso di contagio vi sentono quando rassicurate tutti che saranno loro i soli a morire – e si rifiutano di essere le vostre perdite “accettabili”.
“Prendete delle precauzioni in più intorno alle persone più suscettibili alle malattie, perché per loro può essere più pericoloso” potrebbe essere un’alternativa. Altrimenti è evidente che questi messaggi pubblici sono pensati con in mente solo le persone “sane”.
Telelavoro e altre cose “fantastiche”
In tantissimi paesi si stanno mettendo in pratica degli adattamenti che le persone disabili chiedono da decenni. In questa situazione senza precedenti, un sacco di scuole, università e ditte si sono rivelate capaci di organizzare la didattica o il lavoro a distanza.
Vedere questa capacità di organizzarsi è bello ma allo stesso tempo, per alcune persone, è psicologicamente devastante. Lo è per tutte le persone che trovano unicamente accessibile il telelavoro e che vivono in povertà perché era stato detto loro che il telelavoro non poteva essere organizzato. Lo è per chi ha dovuto rinunciare a fare l’università – perché non poteva frequentare a causa di un’assistenza insufficiente o per altri motivi – e che si era sentito dire che “non si può fare la frequenza a distanza”.
Viene fuori abbastanza chiaramente che quando le persone disabili vogliono le cose, sono difficili, ma quando le vogliono delle persone non disabili si realizzano abbastanza facilmente.
Quando l’emergenza sarà finita, ricordiamoci che se qualcuno dice che qualcosa non è fattibile, be’, può anche essere che sia una stronzata.
Ma non basta
Ci sono altre cose che sarebbe difficile approfondire in un solo post, ma che in generale derivano tutte da una poca considerazione delle persone disabili e delle loro vite. Decreti e informazioni divulgative del governo sull’emergenza spesso non accessibili alle persone con disabilità sensoriali o di apprendimento; persone non autosufficienti che si devono arrangiare con la gestione dei propri assistenti o fare rinunce e scelte difficilissime per salvaguardare la propria sicurezza; persone con condizioni croniche che non hanno più accesso a cure periodiche; mancanza di elasticità per i bisogni di persone che hanno disabilità per cui stare sempre in casa è infattibile. E poi il triage o, dal documento della Siaarti (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva), “Raccomandazioni di etica clinica”: la proposta, poi contestata dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, era di massimizzare i benefici riservando risorse “a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata” e di valutare attentamente “la presenza di comorbidità e lo status funzionale” che potrebbero rallentare il decorso della malattia e richiedere più risorse.
Niente di così nuovo in realtà: l’accesso all’informazione, all’assistenza e alle cure mediche erano in dubbio e in bilico già da molto prima. Ma nel momento in cui arriva una pandemia avviene proprio il patatrac.
[Maria Chiara]